Fattispecie affrontata e risolta dalla Suprema Corte (sentenza n. 33770/2017 depositata l'11 luglio e sotto allegata).
La vicenda
In pratica accade questo: l'anestesista non controlla la corretta ossigenazione del paziente durante un intervento, così facendo omette di seguire le linee guida dettate dall'arte medica per questa specifica operazione.
Un intervento chirurgico al setto nasale (successivo a ricovero per danni fisici da incidente stradale), durante il quale il paziente rimane in deficit di ossigeno pur dopo l'allarme attivato dall'apposito macchinario presenta in sala.
Risultato: dopo l'intervento si determina un'encefalopatia ischemica da cui deriva uno stato comatoso, quindi le condizioni generali peggiorano e sopraggiunge il decesso della sfortunata paziente.
L'ischemia cerebrale viene collegata dai c.t.u. ad una carenza generalizzata di ossigeno a livello cerebrale, favorita dalla condotta dell'imputata che malgoverna il flusso respiratorio in quel frangente.
La decisione della Cassazione
Inutile il ricorso per Cassazione del sanitario. I Giudici non si convincono delle sue difese.
In particolare l'anestesista nega il nesso causale tra la sofferenza respiratoria e il decesso per insufficienza respiratoria, avvenuto venticinque giorni dopo l'intervento.
Dice l'imputata tra i vari argomenti difensivi: il nesso tra la sua condotta e la morte del paziente è stato interrotto da alcune infezioni nosocomiali sopraggiunte all'interno del reparto di terapia intensiva.
Inutile però, come già accennato, la tesi del medico: la Corte ribadisce che le infezioni in questione sono un fatto assai probabile in circostanze del genere e, pertanto, se ne deve tenere conto.
Altre informazioni su questo argomento?
Contatta l'avv. Francesco Pandolfi
3286090590
francesco.pandolfi66@gmail.com
Cassazione, sentenza n. 33770/2017