di Valeria Zeppilli - Se il badge non si limita a rilevare l'orario di ingresso e di uscita del lavoratore, ma raccoglie una serie di altri dati inerenti alla prestazione lavorativa, può divenire uno strumento di controllo, sottoposto alle cautele di cui all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
La Corte di cassazione lo ha chiarito con la sentenza numero 17531/2017 (qui sotto allegata), con la quale ha confermato l'illegittimità del licenziamento disciplinare inflitto a un lavoratore proprio avvalendosi delle risultanze dei dati acquisiti per il tramite del badge.
Illegittimo il badge che controlla permessi e pause
I giudici, in particolare, hanno avuto modo di precisare che la rilevazione delle entrate e delle uscite mediante un'apparecchiatura predisposta dal datore di lavoro e utilizzabile anche quale strumento di controllo del rispetto del dovere di diligenza gravante sul lavoratore, che non è né concordata con le rappresentanze sindacali né autorizzata dall'ispettorato del lavoro rientra nella fattispecie di cui al secondo comma dell'articolo 4, risolvendosi in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul quantum della prestazione.
Nel caso di specie, il rilevatore della presenza trasmetteva alla centrale operativa dati riguardanti non solo l'orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi e le pause e, così facendo, consentiva di fatto un controllo costante e a distanza del rispetto dell'obbligo di da parte dei lavoratori, senza alcuna garanzia procedurale. Il suo utilizzo, quindi, non può che essere dichiarato illegittimo.