Il vademecum della Cassazione

Avv. Emanuela Foligno - Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valore, la liquidazione deve avvenire dapprima rivalutando il credito all'epoca della liquidazione (oppure liquidandolo direttamente in moneta attuale), operazione che serve a ricostituire il patrimonio del danneggiato; poi stimando gli effetti della mora debendi, operazione che può essere compiuta calcolando il rendimento, per ogni anno di mora e ad un saggio di interessi scelto equitativamente dal giudice, di un capitale pari all'importo del credito rivalutato anno per anno.

Così, ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 19987 del 06/10/2016), fornendo un vademecum sui criteri per la liquidazione giudiziale del credito avente ad oggetto il risarcimento del danno extracontrattuale che consiste in obbligazione di valore in quanto è di contenuto pecuniario.

I criteri per la liquidazione del credito derivante da danno extracontrattuale

Il caso esaminato dagli Ermellini, proveniente dalla Corte d'Appello di Roma, riguarda un danno ex art. 2051 c.c. e il mancato guadagno di una attività commerciale di abbigliamento derivante da un allagamento causato da un difetto di manutenzione di un immobile di proprietà di una Banca.

In sostanza il concetto espresso è che non bisogna arrecare un vulnus alla tutela della pretesa risarcitoria del danneggiato il quale si vedrebbe privato della possibilità di investire proficuamente la somma dovutagli a titolo di risarcimento del danno.

I Supremi Giudici dettano i criteri per la liquidazione del credito derivante da danno extracontrattuale e chiariscono che il Giudice chiamato a liquidare un'obbligazione di valore se procede alla aestimatio in moneta relativa all'epoca del sinistro deve poi rivalutare il credito risarcitorio al momento della liquidazione, in modo da ricostituire il patrimonio della vittima nella consistenza che aveva prima del fatto illecito e deve anche considerare il danno da ritardato adempimento, o mora debendi.

Nella liquidazione del pregiudizio bisogna conteggiare anche gli interessi, non necessariamente gli interessi legali, ma anche interessi calcolati con un saggio scelto in via equitativa da valutarsi caso per caso, sul credito devalutato all'epoca del sinistro e poi rivalutato anno per anno, oppure rivalutare il credito risarcitorio in base a un indice medio tra quello dell'epoca del fatto e quello corrente all'epoca della liquidazione.

La sentenza di secondo grado è stata cassata dalla Suprema Corte poiché la Corte d'Appello ha calcolato due volte la rivalutazione. Infatti, dopo avere rivalutato il credito risarcitorio al momento del pagamento dell'acconto da parte della banca debitrice (2003), ha condannato altresì quest'ultima a pagare alla danneggiata il capitale rivalutato, più gli interessi e la rivalutazione dal giorno del fatto dannoso a quello di deposito della sentenza.

Per operare correttamente la Corte d'Appello avrebbe dovuto rivalutare il credito risarcitorio all'epoca della liquidazione, detrarre gli acconti pagati dal debitore e calcolare gli interessi compensativi sul credito residuo, via via rivalutato anno per anno.

Invece ha sovrastimato la liquidazione del danno confondendo la rivalutazione (che serve a ricostituire il patrimonio del danneggiato) con gli interessi.

Determinato il capitale, secondo i criteri indicati, per liquidare il danno da mora la Corte ha applicato il saggio legale degli interessi sull'intero capitale, espresso in moneta del 1993 (data dell'illecito) e rivalutato anno per anno, per il periodo che va dall'ottobre del 1993 sino al pagamento dell'acconto avvenuto nel 2003, e sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto rivalutato, espressa in moneta del 2003 e rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal pagamento dell'acconto fino alla data della sentenza.

Così procedendo si è ottenuto l'importo corrispondente all'intero credito spettante alla danneggiata ovvero: capitale rivalutato più mora maturata fino al pagamento dell'acconto, più mora maturata dopo il pagamento dell'acconto. Su tale importo nominale saranno ovviamente dovuti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo effettivo.

La pronunzia qui oggetto di esame, ancora una volta frutto dell'illuminata penna del Cons. Rossetti, è anche pregevole sia per le interessanti argomentazioni in punto di prove idonee a superare la presunzione di cui all'art. 2051 c.c., sia per avere precisato a chiare lettere che "l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti".

Interessante, inoltre, il richiamo alle SS.UU. del 2014 sulla violazione di legge costituzionale quale anomalia motivazionale che giustifichi il ricorso alla Cassazione laddove viene ribadito che per effetto della riforma "è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali".


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