di Raffaella Feola - Il 27 maggio 2005 a Prüm alcuni paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna e Paesi Bassi), hanno firmato un accordo: il Trattato di Prüm, al fine di facilitare la cooperazione transfrontaliera per contrastare la migrazione illegale, la criminalità transfrontaliera e il terrorismo.
Trattato di Prum o Shengen II
Il Trattato è chiamato anche "Shengen II", poiché porta a compimento il processo di integrazione avviato a Shengen, attraverso una più marcata definizione dello spazio europeo, in termini di concreto esercizio della sovranità interna.
Nel Trattato ai fini della cooperazione -come "determinanti"- vengono individuate:
· le misure contro il terrorismo;
· il contrasto al trasporto di armi e munizioni e l'immigrazione illegale;
· il registro delle targhe automobilistiche;
· le raccolte dati attraverso il DNA.
Banche nazionali del Dna
Gli Stati, quindi, devono assicurare la consultazione dei dati presso banche nazionali del DNA.
La ricerca, però, non può essere a campione o collettiva, ma mira all'individuazione di una possibile corrispondenza tra un dato ricercato dalla polizia e un dato conservato nella banca dati.
In caso di corrispondenza tra due profili di DNA, sarà la legge nazionale dello Stato al quale è stata rivolta la richiesta e in possesso dei dati, a gestire la comunicazione delle informazioni personali riconducibili a quel profilo.
Nel caso in cui il profilo richiesto non è presente in banca dati, il Paese che ha ricevuto la richiesta provvederà a prelevare il DNA alla persona individuata, a condizione che il Paese richiedente specifichi lo scopo, o produca un mandato di indagine.
L'adesione dell'Italia al trattato
Con la legge 30 giugno 2009, n.85, anche l'Italia ha aderito al Trattato di Prüm, istituendo la banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell'interno, Dipartimento della pubblica sicurezza.
La banca dati del DNA provvede alle seguenti attività:
· raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti durante un procedimento penale;
· raccolta dei profili del DNA di persone scomparse e di cadaveri non identificati;
· raccolta del profilo del DNA di soggetti:
ai quali è stata applicata la misura di custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari;
arrestati in flagranza di reato;
detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;
ai quali in maniera provvisoria o definitiva, è stata applicata una misura di sicurezza detentiva;
· raffronto dei profili del DNA ai fini di identificazione.
A distanza di anni, però, resta la preoccupazione di non essere "prudenti" abbastanza, preoccupazione già espressa dai giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza: S. and Marger vs United Kingdom.
In tale circostanza la Corte europea dichiarò incompatibili con l'articolo 8 della Convenzione le modalità di conservazione di campioni e dati previste dal National DNA Database del Regno Unito.
Il legislatore italiano - come anche gli altri legislatori europei- è consapevole del rischio che la raccolta dei dati relativi al DNA venga utilizzata per "schedare" i cittadini, ma tale rischio va corso in nome della sicurezza comune.