di Giulia Nelli - «Non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi». Con questo principio di diritto le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione sterzano rispetto all'orientamento prevalente in materia di applicabilità in Italia dei punitive damages e, nell'articolata sentenza del 5 luglio 2017 n. 16601, ricostruiscono storia, collegamenti giurisprudenziali, cambiamenti rispetto alla nozione di ordine pubblico in parallelo ai mutamenti nel tempo della concezione della responsabilità civile in ottica polifunzionale e in grado di rispondere a un'esigenza di effettività della tutela.
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Cos'è il danno punitivo
L'istituto di common law del danno punitivo è di origine anglosassone e permette al giudice di attribuire al danneggiato un risarcimento superiore a quello oggettivamente calcolato a ristoro di un pregiudizio causato dalla condotta del danneggiante.
A questa funzione risarcitoria in senso stretto, il danno punitivo aggiunge tra le proprie finalità principali quella punitiva e pedagogica proponendosi di punire il colpevole per il suo comportamento malevolo e di distogliere il colpevole - e in senso più ampio la collettività - da comportamenti socialmente dannosi che la sola minaccia del risarcimento non sarebbe in grado di arginare.
Le ricadute in giudizio
La categoria del danno punitivo trova speciale applicazione nelle Corti statunitensi: oltre al danno emergente e al lucro cessante, si valutano altri elementi come la sostanziale e permanente compromissione della capacità lavorativa, la lesione della sfera relazionale del danneggiato, l'età.
È spesso applicato a seguito del comportamento delle assicurazioni che resistono in giudizio per scoraggiare la parte attrice da proseguire l'azione in considerazione dei tempi lunghi della giustizia e accettare una transazione penalizzante per la parte lesa.
Il danno punitivo in Italia
Il danno punitivo in Italia si è sempre scontrato con il sistema di responsabilità civile a carattere compensativo e non punitivo. La Cassazione aveva esplicitamente negato la cittadinanza all'istituto di common law con la sentenza n. 1781/2012: «il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso».
L'evoluzione del carattere proprio del risarcimento ha però portato nel tempo ad aperture sulla liceità per il Legislatore di configurare danni punitivi, come misura di contrasto alla violazione del diritto eurounitario (Cassazione, sentenza 15 marzo 2016 n. 5072).
L'incremento del risarcimento come riparazione per i tanti temporeggiamenti sui pagamenti messi in atto dalle compagnie assicurative è stato talvolta comminato con lo scopo di evitare un vantaggio all'assicurazione anche una volta condannata. Tanto più che in materia di risarcimento del danno entro 50mila euro è prevista l'obbligatorietà della negoziazione assistita a pena dell'improcedibilità della domanda giudiziaria.
A questo proposito, giova ricordare la richiesta di risarcimento sul modello statunitense avanzata anche nel corso del processo di appello relativo a Costa Concordia che ha portato, con ordinanza interlocutoria 16 maggio 2016 n. 9978, alla rimessione alle Sezioni Unite della questione dei danni punitivi nel nostro ordinamento sulla scorta della progressiva evoluzione della funzione della responsabilità civile e del principio di ordine pubblico evidenziata anche dalla presenza, in alcune norme italiane, di una evidente componente risarcitoria ultra-compensativa la cui quantificazione è collegata al comportamento di chi ha provocato il danno oltre che al danno in sé (cfr nuovo articolo 96, comma 3, c.p.c oppure l'articolo 12 della legge 47/1948).
Il revirement delle Sezioni Unite
La pronuncia della Corte di Cassazione sancisce la fine degli interrogativi rispetto alla liceità dell'applicazione in Italia del danno punitivo: le Sezioni Unite tracciano la linea di demarcazione per il riconoscimento in Italia di richieste risarcitorie di questa natura.
Necessario per la compatibilità - si legge nella sentenza 16601/2017 inerente tre sentenze statunitensi in una causa di risarcimento danni per incidente motociclistico - l'ancoraggio a una fonte normativa riconoscibile della sentenza straniera che permetta di tipizzare le ipotesi di condanna, la loro prevedibilità e ne definisca i limiti quantitativi del risarcimento.
Il mutamento nella definizione di ordine pubblico
La ridefinizione della nozione di ordine pubblico e la sua maggiore permeabilità ai dettati del diritto internazionale è sottesa al cambio di passo della Cassazione e trova riscontro nella sentenza Krombach (Cedu 13/2/2001) nella quale si analizza il fenomeno di comunitarizzazione/europeizzazione del diritto internazionale privato e processuale per cui «l'ordine pubblico da strumento di tutela dei valori nazionali, da opporre alla circolazione di giurisprudenza, diviene progressivamente "veicolo di promozione" della ricerca di principi comuni agli Stati membri in relazione ai diritti fondamentali». In questo senso è possibile una «autonomia e coesistenza dell'ordine pubblico dell'Unione e quello di fonte nazionale» con un riferimento diretto all'ordine pubblico processuale mentre l'ordine pubblico sostanziale resta ancorato alla Costituzione e alle tradizioni giuridiche del singolo Stato e più vincolato.
La parola al legislatore
Affinché la «curvatura deterrente/sanzionatoria» rintracciabile anche nella giurisprudenza costituzionale (cfr Corte Costituzionale, sentenza n. 303/2011) possa trovare applicazione nelle cause anche solo nazionali, non è sufficiente la posizione netta assunta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte: è obbligatoria una intermediazione legislativa in forza del principio di cui all'articolo 23 della Costituzione (e dei successivi articoli 24 e 25) con cui si preclude «un incontrollato soggettivismo giudiziario» rispetto a nuove prestazioni patrimoniali.
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