di Lucia Izzo - Laddove il rapporto di lavoro si trasformi in part-time verticale, il lavoratore ha diritto a fruire integralmente dei permessi riconosciutigli dalla legge 104/1992 goduti in precedenza, ma soltanto qualora il nuovo orario settimanale comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, nella sentenza n. 22925/2017 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso della s.p.a. e confermando la sentenza che l'aveva condannata al risarcimento del danno non patrimoniale.
L'azienda, a seguito della trasformazione del rapporto di lavoro in part-time verticale (trasformazione comportante una prestazione lavorativa articolata su quattro giorni a settimana in luogo di sei) aveva illegittimamente riproporzionato i tre giorni di permesso ex art. 33 della legge n. 104 goduti in precedenza, in due mensili.
Sì ai 3 giorni di 104 per il lavoratore in part-time verticale
La disciplina di riferimento, ovverosia quella prevista dalla direttiva 97/81/CE, vieta la discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, con particolare riferimento all'ambito di operatività del riproporzionamento in ragione della ridotta entità della prestazione di lavoro.
Tuttavia, la normativa prevede anche ipotesi in cui è consentita una proporzionale riduzione di una serie di diritti facenti capo al lavoratore tra cui proprio quest'ultimo caso di riproporzionamento, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l'importo della retribuzione feriale, l'importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità.
Pertanto, si pone la necessità, ben evidenziata dall'azienda ricorrente, di evitare che le particolari modalità di articolazione della prestazione lavorativa nel caso di part time verticale si traducano, quanto alla fruizione dei permessi oggetto, in un irragionevole sacrificio per la parte datoriale.
Un nodo che, secondo il collegio, può essere risolto tenendo conto che dal complesso delle fonti richiamate emerge la necessità, comunque, di una valutazione comparativa delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, anche alla luce del principio di flessibilità concorrente con quello di non discriminazione, e della esigenza di promozione, su base volontaria, del lavoro a tempo parziale.
Il criterio che può ragionevolmente desumersi da tale indicazioni, continuano gli Ermellini, è quello di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all'adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del rapporto part time verticale.
Pertanto, in coerenza con tale criterio e valutate le opposte esigenze, per i giudici è necessario distinguere l'ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell'anno.
Solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l'esigenza di effettività di tutela del disabile, va riconosciuto il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto.
Nel caso di specie, la prestazione del lavoratore è stata articolata sulla base di un orario lavorativo settimanale pari a quattro giorni su sei, corrispondente a un part time verticale al 67%, dunque la sentenza impugnata deve essere confermata. Spese di lite compensate per la novità e la complessità delle questioni.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 22925/2017• Foto: 123rf.com