di Valeria Zeppilli - Anche offendere il proprio avvocato con espressioni idonee a lederne la dignità professionale può essere un comportamento idoneo a integrare il reato di diffamazione.
Si pensi ad esempio che la Corte di cassazione, con la sentenza numero 44917/2017 del 29 settembre (qui sotto allegata), ha definitivamente confermato la condanna già inflitta dai giudici del merito a una donna che aveva inviato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza dell'avvocato interessato due esposti nei quali affermava, tra le altre cose, che il legale voleva difenderla solo per i soldi e non la considerava un essere umano.
Offensività delle espressioni
La Corte di cassazione si è innanzitutto confrontata con la questione dell'offensività delle espressioni utilizzate dalla donna, rispetto alla quale la Corte territoriale non si era effettivamente soffermata in maniera diffusa, ma che comunque era stata affrontata anche nella sentenza impugnata.
La Cassazione ha avuto modo di precisare, a tal proposito, che in materia di diffamazione essa ha il potere di "conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie".
Peraltro, nel caso di specie la ricorrente non aveva individuato ragioni specifiche per far ritenere carenti di offensività le frasi pronunciate contro il legale.
Nessuna esimente
Per la Corte, poi, non è possibile applicare al caso di specie l'esimente di cui all'articolo 598 del codice penale, che la ricorrente invocava facendo leva sul fatto che le espressioni lesive erano contenute in un esposto inviato al Consiglio dell'Ordine forense.
Si tratta, infatti, di un'ipotesi alla quale non può essere applicata la fattispecie di non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative, in quanto in essa l'autore dell'esposto non è parte del successivo giudizio disciplinare, mentre l'esimente invocata attiene agli scritti difensivi in senso stretto e non può essere estesa agli esposti e alle denunce.
Al limite, nei casi come quello di specie si potrebbe astrattamente configurare la causa di giustificazione prevista dall'articolo 51 del codice penale per l'esercizio del diritto di critica, che però trova un ostacolo in concreto nel fatto che "il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale".
Corte di cassazione testo sentenza numero 44917/2017• Foto: 123rf.com