di Valeria Zeppilli - Nel giudizio del lavoro, le voci relative alla corrispondenza e alla consultazione del cliente vanno liquidate dal giudice al difensore sempre e senza che sia necessaria la prova dell'effettivo svolgimento delle attività.
Nell'ordinanza numero 23059/2017 del 3 ottobre (qui sotto allegata), la sezione lavoro della Corte di cassazione non sembra avere dubbi in tal senso, ma anzi aggiunge anche che il diritto dell'avvocato ad essere retribuito si estende pure alle attività successive al deposito della sentenza, quali quelle di esame del dispositivo e delle motivazioni.
Corrispondenza e consultazione tra cliente e difensore non hanno bisogno di prove
Alla base della decisione c'era il ricorso di una donna, al cui legale erano stati liquidati solo 1.500 euro nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto il riconoscimento di un rapporto di lavoro con un'azienda agricola.
Nel suffragare la posizione della ricorrente giungendo alle conclusioni viste sopra, i giudici hanno rilevato che nei giudizi che si svolgono con il rito del lavoro, la corrispondenza tra legale e cliente è oggetto di una presunzione iuris tantum. Infatti, il codice di procedura impone che la parte compaia personalmente all'udienza di discussione, cosa che non può che indurre a ritenere assolto il dovere di informazione del cliente, gravante in capo all'avvocato. Di conseguenza, per la liquidazione della voce corrispondente non è richiesta alcuna prova.
Per quanto riguarda, invece, la voce relativa alla consultazione con il cliente, occorre considerare che le attività successive alla sentenza di primo grado sono una conseguenza necessaria di questa e, pertanto, per i giudici il loro espletamento è presupposto dell'attività difensiva del procuratore e va quindi necessariamente liquidato.
Da 1.500 euro, l'importo liquidato all'avvocato passa pertanto a quasi 3.000 euro.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 23059/2017• Foto: 123rf.com