di Marina Crisafi - Mesi di pay tv e di visioni in anteprima, comodamente seduti sul divano di casa e senza sborsare un euro, fanno gola a tutti. Ma possono costare caro. Lo sa bene un uomo che si era attrezzato al meglio, usando un decoder ad hoc, collegato a internet, tv e satellite, guardando "a sbafo" Sky per mesi. Peccato però che non si era munito della prevista smart-card e, una volta che il trucco era stato scoperto, il conto da pagare è stato piuttosto salato: 4 mesi di carcere e 2mila euro di multa.
La condanna, inflitta dalle corti di merito, viene ora confermata dalla Cassazione penale che con sentenza n. 46443/2017 di ieri (sotto allegata) ha ritenuto corretta la decisione dei giudici.
I fatti
Nella vicenda, la Corte d'appello di Palermo, confermando integralmente la sentenza di primo grado condannava l'uomo alla pena di quattro mesi di reclusione ed euro 2mila di multa per avere in violazione dell'art. 171 octies L. 633/1941 "installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete LAN domestica ed internet collegato con apparato TV e connessione all'impianto satellitare così rendendo visibili i canali televisivi del gruppo SKY Italia in assenza della relativa smart card".
L'imputato ricorreva quindi in Cassazione deducendo "l'erronea qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 171 octies L.633/1941, norma del tutto residuale riservata esclusivamente ad attività illecite a livello professionale, deponendo invece il riferimento ad un canone imposto per l'accesso alla visione dei programmi dell'emittente Sky e lo scopo di lucro sotto il profilo soggettivo da contrapporsi a quello fraudolento, assente nella fattispecie, per la riconducibilità della condotta nell'alveo normativo dell'art. 171 ter comma 1. lett.f) L. 633/1941".
L'uomo si doleva inoltre del fatto che i giudici non avevano tenuto conto della sua versione dei fatti, giacché lo stesso aveva acquistato i codici di decodifica sul web.
Sky senza smart-card: carcere e 2mila euro di multa
Per gli Ermellini, però, le tesi non reggono e il ricorso è considerato inammissibile e infondato.
Correttamente i giudici palermitani, affermano, infatti, dal Palazzaccio, "hanno, invero, ricondotto nell'ambito dell'art.171-octies L. 633/1941 la condotta incriminata, pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l'accesso da parte dell'emittente, senza che assumano rilievo le concrete modalità con cui l'elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l'accesso ai suddetti programmi".
E' poi evidente, prosegue la sentenza "cha dalla ricondotta rilevanza penale del fatto nell'alveo della norma così individuata discenda, de plano, l'antigiuridicità della condotta ascritta all'imputato, non potendosi prendere in esame per le ragioni sopra esposte le ulteriori doglianze svolte sul piano motivazionale, peraltro sviluppate nell'orbita delle mere censure di merito".
Per cui, condanna confermata anche al pagamento delle spese processuali e di 2mila euro a favore della Cassa delle Ammende.
Cassazione, sentenza n. 46443/2017
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