di Valeria Zeppilli - Il dipendente che assiste un familiare disabile e, per tale ragione, rifiuta il trasferimento presso un'altra sede aziendale non può essere per ciò solo licenziato dal datore di lavoro.
Lo ha ribadito la sezione lavoro della Corte di cassazione nella sentenza numero 24015/2017 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un lavoratore che era stato mandato a casa per essersi assentato dal lavoro "ingiustificatamente", essendosi rifiutato di subire il trasferimento.
La vicenda
La sentenza di legittimità ribalta le conclusioni alle quali era giunta la Corte d'appello, che aveva giustificato il recesso considerando che la nuova sede era distante pochi chilometri dalla vecchia e che l'orario di lavoro era compatibile con le esigenze di cura del dipendente. Così facendo, però, i giudici di seconde cure avevano omesso qualsiasi accertamento circa la compatibilità della nuova sede di lavoro con gli obblighi di assistenza del familiare e circa l'effettiva alterazione delle condizioni di vita del contesto familiare nel quale si trovava inserita la persona disabile e del livello di assistenza che a questa veniva assicurato dal dipendente.
Non era stata svolta, poi, alcuna indagine circa la sussistenza di ragioni organizzative e produttive del datore di lavoro, tali da non poter essere soddisfatte in altro modo che con il trasferimento.
Condizioni di vita accettabili
Per la Corte di cassazione, invece, è fondamentale, al momento in cui si effettua il necessario bilanciamento di interessi e diritti di lavoratore e datori di lavoro, valorizzare le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore "occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte".
Peraltro, il trasferimento di cui al comma 5 dell'articolo 33 della legge numero 104/1992 è configurabile ogni qual volta muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione, anche se lo spostamento è attuato nella medesima unità produttiva con uffici dislocati in luoghi diversi.
La Corte d'appello dovrà quindi tornare a pronunciarsi sulla vicenda tenendo conto dei principi di diritto enunciati dalla Cassazione.
Corte di cassazione testo sentenza numero 24015/2017• Foto: 123rf.com