di Lucia Izzo - Legittimo il licenziamento senza preavviso dei lavoratori che, in molteplici occasioni, hanno timbrato reciprocamente, l'uno per l'altro, il cartellino presenze, con modalità tali da far risultare che erano in servizio in giorni di riposo.
La violazione disciplinare è integrata anche dall'aver omesso di segnalare all'amministrazione le anomalie di queste timbrature non corrispondenti al vero, nonostante la consegna mensile del cartellino orario al fine di operare il relativo controllo e consentire la segnalazione. Sul punto, al giudice è consentito di fondare il suo giudizio su un ragionamento di tipo presuntivo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 25374/2017 (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di due lavoratrici che avevano si erano opposte ai licenziamenti disciplinari loro intimati per aver timbrato, l'una per l'altra, i cartellini di presenza così da risultare al lavoro anche nei giorni in cui non prestavano servizio.
Se il Tribunale dava ragione alle due lavoratrici, ritenendo non provate in via indiziaria le condotte loro addebitate, il Giudice d'Appello respingeva la domanda delle dipendenti che ricorrevano in Cassazione.
Le ricorrenti censurano, tra l'altro, la decisione del giudice di seconde cure sostenendo che questi avesse violato l'art. 2697 c.c., esonerando il datore di lavoro dalla prova dei fatti posti alla base del licenziamento, e fatto uso illegittimo dell'art. 2729 c.c., in materia di prova presuntiva, traendo l'addebitabilità delle condotte sanzionate alle due da fatti ignoti o non provati (il movente di profitto, la reciprocità del beneficio che l'una procurava all'altra, etc.)
In sostanza, la Corte avrebbe applicato meri indizi, mai oggetto di prova, al fine di trarne presunzioni a fondamento della legittimità del licenziamento, tuttavia le doglianze attoree non colgono nel segno.
Licenziamento senza preavviso: sì alla prova presuntiva
La Cassazione osserva che l'art. 2729 c.c. esclude il ricorso alla prova presuntiva nei soli casi in cui la legge esclude la prova per testimoni, limite che non opera nell'ambito del processo del lavoro (art. 421, comma 2, c.c.) e che il vigente ordinamento processuale è ispirato ai principi del libero convincimento del giudice e di libertà delle prove, in forza dei quali tutti i mezzi di prova hanno pari valore.
Tali principi non tollerano surrettizie limitazioni, mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare i fatti costitutivi dei diritti azionati in giudizio avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge.
Nulla esclude, secondo il Collegio, che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze probatorie comunque acquisite agli atti, anche attraverso il ricorso al ragionamento presuntivo, poichè una diversa interpretazione si risolverebbe, infatti, in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione.
Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha correttamente ripercorso l'organizzazione e le modalità di effettuazione del servizio di centralino e delle prestazioni lavorative in questione, nonché di attestazione delle presenze e, con un articolato ragionamento logico presuntivo aveva escluso che le registrazioni contestate potessero essere state effettuate da un altro lavoratore diverso dalle ricorrenti, le quali avrebbero avuto interesse al profitto per riposi compensativi o retribuzioni straordinarie.
Le stesse infatti, avevano anche dichiarato di non aver fatto alcun controllo, neppure superficiale, sui dati delle registrazioni delle presenti, nonostante si fossero ripetutamente trovate a beneficiare ripetutamente di ore extra di riposo e cioè di ore di assenza retribuite.
Pertanto, legittimamente è stato irrogato il licenziamento senza preavviso, sia in ragione della contrattazione collettiva (che prevede tale sanzione per la falsa attestazione, in più occasioni, della presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevazione delle presenze), sia della disciplina legale.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 25374/2017