Le prescrizioni e le direttive della Ue non sono dirette a migliorare lo stato dell'economia dei Paesi coinvolti

di Angelo Casella - L'emergere di diverse sconcertanti evidenze invita a qualche specifica riflessione sulla crisi della Grecia.

1.- Innanzitutto: le cause che l'hanno determinata.

Tempo addietro, il governo greco è stato indotto, da emissari di Francia e Germania, ad affrontare enormi spese per acquistare, rispettivamente, centrali nucleari e sistemi d'arma, tra cui sofisticati sottomarini.

Trattandosi di esborsi ampiamente eccedenti le disponibilità di spesa del Paese, il governo è stato convinto ad un piano finanziario complesso: a copertura dell'ammontare complessivo avrebbe potuto emettere titoli, con la garanzia che sarebbero stati acquistati dalle banche dei due Paesi proponenti.

Così è stato, e la Grecia si è dotata delle centrali e delle armi di cui non aveva alcun bisogno, incrementando sostanziosamente il proprio debito.

2.- In breve, peraltro, il Paese si è accorto che i piani di rientro predisposti dai creditori erano più fantasiosi che reali e che le risorse disponibili non erano sufficienti per fronteggiare il rimborso del debito.

Ecco che allora le agenzie internazionali (soggette a influenze politiche) abbassano il rating della Grecia. Ne consegue l'impossibilità per il Paese di accedere al mercato finanziario internazionale e si profila il default.

3.- Si costituisce allora un comitato di "salvataggio": la c.d. "Troika" (Commissione europea, Bce, FMI). Per evitare il fallimento del Paese e rimborsare i bond in scadenza, viene proposto al governo greco un piano articolato di ulteriori prestiti in diverse tranches, peraltro vincolati a diverse condizioni: drastici tagli alla spesa, privatizzazioni, aumento della pressione fiscale , riduzioni severe a stipendi e pensioni, licenziamenti di massa dei dipendenti pubblici: una sorta di camicia di forza che determina pesantissimi costi e sofferenze alla popolazione.

4.- Questi prestiti, su imposizione della Germania, sono sottoposti a tassi elevati. Molto elevati. Ad un grado al quale certamente essa stessa non avrebbe mai contratto finanziamenti e tale da rendere palesemente improbabile la restituzione. In sostanza, la Germania ha approfittato dello stato di necessità della Grecia per ricavarne profitti. (Naturalmente, in nome della solidarietà europea).

5.- In pratica, il "salvataggio" ha lo scopo di garantire il rientro dell'esposizione per le banche francesi e tedesche. A spese del popolo greco. Un salvataggio che spettava invece ai rispettivi governi, francese e tedesco.

Una soluzione più corretta, sul piano sia economico sia morale, avrebbe dovuto prevedere anche una ristrutturazione del debito greco, in misura da renderlo sostenibile per il Paese, allungando le scadenze e svalutandolo, analogamente a quanto già avvenuto per l'Argentina.

I prestiti concessi avrebbero dovuto poi essere indirizzati alla produzione di beni che altri Paesi in espansione (la Cina, in particolare), avevano interesse ad acquistare: in tal modo l'economia greca avrebbe avuto modo di risollevarsi.

6.- Di fatto, la Grecia, a seguito delle "condizioni" imposte dalla Troika, si trova oggi in un baratro di miseria dal quale è pressoché impossibile che si rialzi in tempi accettabili. In ogni caso, non recupererà mai i livelli di benessere perduti. L'austerità imposta comporta un crollo cronico della domanda, vale a dire una contrazione stabile della produzione (salvo che intervenga una espansione delle esportazioni, per la quale però mancano le condizioni). Da notare, tra parentesi, che, allo scoppio della crisi, il debito greco si sistuava al 109 % del Pil, molto meno del debito giapponese (246%). Questo per ribadire come deficit e debito non abbiano nulla a che fare con lo stato di crisi di un Paese.

7.- La Troika ha voluto interpretare la crisi greca come esito di problemi strutturali ed ha imposto riforme in questo campo. Peraltro, prima della crisi globale del 2007/8, la Grecia era in espansione (3,9% rispetto al 2,6% della media Ue). Ciò significa che i suoi problemi non erano e non sono strutturali e che queste riforme della Ue non sono utili (Friedman). In realtà la tipologia delle riforme imposte e, in particolare, la riduzione del deficit, significano che la preoccupazione vera di chi le ha ordinate è - per l'appunto - che il Paese possa disporre - a qualunque costo - del denaro per estinguere il debito e salvare le banche tedesche e francesi, non di stimolarne la crescita. Il motivo per il quale il Paese è stato obbligato a riforme strutturali è quello di renderle vincolanti nel tempo.

8.- E' noto che, per far uscire un Paese da una crisi è necessario, da un lato abbassare il prezzo dei beni prodotti e, dall'altro, realizzare investimenti produttivi (in infrastrutture, formazione, ricerca, tecnologia e innovazione).

Il modello di austerità imposto alla Grecia, è invece controproducente sopratutto perché inibisce tali investimenti. Inoltre, alla Grecia - contro ogni logica - è stato addirittura vietato qualsiasi intervento di politica industriale, in quanto bollato come "aiuto di Stato", contrario al sovrano principio della "libera concorrenza".

La Troika pretende poi il rispetto costante dei rigidi parametri di bilancio imposti: se il gettito fiscale è inferiore alle attese, oppure la spesa aumenta per qualche motivo, il primo deve subito essere aumentato e la seconda diminuita. Si tratta di un destabilizzatore automatico (Stiglitz) dal quale è impossibile uscire.

Più dei pur significativi obbiettivi immediati della Troika, come sopra evidenziati, appaiono però indicative alcune particolarità nelle "condizioni" imposte alla Grecia per la concessione dei cosiddetti "aiuti", che consentono di leggere le ulteriori finalità perseguite.

Alla Grecia è stato chiesto di eliminare, dalle etichette delle confezioni di latte, la dicitura "fresco". Ciò allo scopo di favorire i grossi esportatori di latte olandesi, il cui prodotto non poteva arrivare in Grecia "fresco". Questa disposizione, facilitando le importazioni, anziché favorire, danneggia l'economia greca, di cui si pretenderebbe curare lo sviluppo.

E' stato imposto alla Grecia un forte appesantimento fiscale e, in particolare, l'introduzione di una imposta immobiliare. Questa, peraltro, non doveva essere progressiva. In tal modo l'imposta è stata notevolmente depotenziata, poichè sono stati risparmiati i grandi patrimoni immobiliari, notoriamente in mano agli oligarchi, facendone ricadere il peso sulla gente comune.

Sempre in tema fiscale, dall'aumento dell'imposizione generale è stato esplicitamente escluso ogni intervento inteso a colpire l'elusione praticata dagli armatori, usi a registrare il naviglio nei paradisi fiscali. In tal modo si è rinunciato a diversi miliardi di euro di ricavi fiscali, in contraddizione con la sbandierata volontà di accrescere le entrate.

In Grecia, era tradizione produrre una sola pezzatura di pane. La Troika ha invece imposto l'adozione di pezzature variabili. Una prescrizione del tutto incomprensibile se non si inquadra - ancora una volta - in un disegno volto a favorire le importazioni dei semilavorati industriali. Un'altra disposizione priva di qualsiasi attinenza con le esigenze dello sviluppo.

In Grecia, solo un farmacista laureato poteva essere proprietario di una farmacia. La Troika ha ordinato l'abolizione di tale regola. Anche qui, lo scopo evidente non è di favorire la crescita economica, bensì di consentire ai grandi gruppi finanziari del settore (sopratutto tedeschi) di entrare liberamente nel mercato greco.

Alla Grecia è stato ordinato di aprire alle ditte straniere il mercato delle visite turistiche. Un ulteriore esempio di intervento fuori contesto.

9.- Emerge da quanto precede che: a) alla Troika non interessava minimamente migliorare l'economia greca, aumentare il benessere generale e ridurne la penosa disoccupazione. Le condizioni intimate - con la minaccia di un rovinoso fallimento del Paese - miravano a salvare gli istituti di credito francesi e tedeschi e, b) a favorire finanza internazionale e grande capitale (in sostanza: un obbiettivo unico). Un obbiettivo dal quale è esclusa ogni attenzione per il Paese Grecia, inteso come agglomerato di persone.

Tutto ciò contribuire ad illuminare ulteiormente il vero disegno di fondo dei fondatori dell'Unione europea.

Infatti, il meccanismo posto in atto dalla Ue con la Grecia ricalca esattamente un metodo ampiamente noto e globalmente collaudato dagli Usa (e reso noto al grande pubblico da PERKINS, Confessioni di un sicario dell'economia ).

10.- Lo schema è semplice ed efficace. Per controllare un Paese e sfruttarne le risorse, non occorre più scatenare una guerra (se non in casi limite): è sufficiente indurre i membri del relativo governo (con la corruzione, ma anche con minacce o ricatti) a contrarre imponenti debiti per realizzare il piano di colossali investimenti all'uopo specificatamente predisposto da tecnici addestrati, con la prospettiva di realizzare rendimenti tali da ripagare il debito e rilanciare il sistema economico locale.

Detto fra parentesi, accanto ai tecnici intervengono dei "facilitatori" speciali. Esistono negli Usa delle Agenzie specializzate di lobbisti che - pagati dalla finanza - elargiscono, ai margini della legalità, donazioni e contributi elettorali ai principali leaders, sotto ogni forma (comprese vacanze e escort). Elargizioni che spesso, sottobanco, sono anche ad personam. Poi naturalmente, passano all'incasso.

11.- Tornando al nostro discorso, non passa molto tempo che il Paese si avvede non solo di non poter fronteggiare il rimborso del debito (capitale e interessi), ma addirittura di non poter gestire normalmente il proprio bilancio.

Ecco allora ricomparire i "tecnici" che propongono nuovi prestiti, ma a tassi aumentati ("è cresciuto il rischio...") e con determinate "condizioni".

Le stesse condizioni capestro e la stessa austerità imposte alla Grecia. Sempre allo scopo di tutelare ben individuati interessi costituiti.

A questo punto il Paese è "incatenato": se vuole evitare il fallimento è costretto ad accettare tutto, tra cui le "condizioni", che sono sempre le stesse: riduzione complessiva della spesa, abbassamento del costo del lavoro ed eliminazione del salario minimo, riduzione delle pensioni (anche alzando l'età pensionabile), ridimensionamento delle prestazioni di assistenza, sanità e istruzione (lo scopo è di favorire le assicurazioni della sanità e le scuole private, dove - dati gli alti costi - si addestrano i rampolli delle classi elevate, che spalleggiano il grande capitale credendo di fare il proprio interesse, mentre sono solo uno strumento di uso temporaneo), eliminazione di ogni limitazione agli investimenti esteri, abolizione delle restrizioni attinenti la tutela ambientale (sopratutto di quelle che inibiscono lo sfruttamento di determinati beni naturali, quali Parchi e zone protette), privatizzazione delle più importanti proprietà pubbliche e dei servizi.

13.- E' evidente che queste "condizioni" si traducono, in ultima analisi, in una vistosa sottrazione della sovranità del Paese, i cui rappresentanti non si trovano più in grado di gestirlo in funzione della volontà e delle effettive esigenze della popolazione: le decisioni sugli assetti, sulle strutture di base e sullo stesso modello sociale passano dal popolo "sovrano" agli enti creditori (cioè al grande capitale finanziario).

Questi enti sono gli organismi finanziari internazionali, FMI e Banca Mondiale, entrambi al servizio degli Stati Uniti e delle sue multinazionali, di cui eseguono gli ordini.

14.- Da notare che questo giochetto dei prestiti soffocanti, come viene dettagliato da PERKINS (Op. cit.) è stato posto in atto in Asia, in Africa e in America Latina, strangolando tutte le nazioni le cui risorse avevano interesse per il grande capitale (v., anche il nostro "Le regole del gioco" in questo stesso sito). Stati sovrani come l'Iran o il Venezuela, che non sono più disposti ad assoggettarsi, vengono definiti "Stati canaglia" e sottoposti a sanzioni, anche pesanti, con la collaborazione, di convenienza o di sottomissione, della maggior parte della comunità internazionale.

15.- Da non dimenticare in questo contesto che, negli Usa, il governo è direttamente manipolato dalle grandi multinazionali, che manovrano a piacimento la stampa e i media, creano e strumentalizzano la minaccia comunista, (o qualche altra, secondo il momento), per ridurre le libertà civili e istituire un sistema di controllo della popolazione sempre più penetrante.

Si può dire anzi che esiste un patto di ferro fra governo, forze armate e multinazionali, per rendere più efficace - ad ogni livello - l'azione di queste ultime. Avviene perfino uno scambio - tra l'uno e gli altri - di personaggi e di interessi.

Ebbe il coraggio di denunciarlo il presidente Eisenhower (ma solo nel suo discorso d'addio nel 1961): "dobbiamo guardarci...dalla ingiustificata influenza … del complesso militar-industriale. Esiste e persisterà la possibilità di una disastrosa ascesa di un potere distorto!". (cit. da Chomsky).

16.- A questo punto si impongono due considerazioni.

a.- Nell'elenco dei maggiori soggetti economici del globo, troviamo - ai primi cento posti - quarantanove Stati nazionali e cinquantuno multinazionali, delle quali quarantasette statunitensi. In dipendenza delle partecipazioni incrociate, a tirare le fila di questi giganti economici, troviamo meno di dieci persone fisiche.

Di fatto, questo ristretto numero di soggetti esercita un potere immenso e privo di controllo, su tutto il pianeta. Un controllo di fatto, non evidente né codificato, ma estremamente profondo e invasivo, atteso l'enorme potere economico di cui dispongono, (e grazie al quale hanno organizzato anche una gigantesca elusione fiscale).

Con il tacito consenso internazionale, hanno stabilito infatti le sedi (formali) dei loro affari in Paesi dove possono godere di regimi fiscali agevolati o inesistenti. (Alle piccole e medie aziende è invece sempre imposto ovunque il pagamento totale e immediato delle imposte).

E non è un caso che a capo della Commissione europea sia stato nominato un certo Juncker che, da premier del Lussemburgo, si è operosamente attivato, com'è noto, per offrire alle multinazionali un rifugio sicuro dove non pagare le tasse.

Competenze così non potevano andare perdute.

L'Italia non dispone di grandi multinazionali globali private di analoghe dimensioni e non è presente nell'esclusivo club dei padroni del pianeta. Non dispone di importanti risorse naturali appetibili (salvo qualche giacimento di gas).

Siccome peraltro è luogo di forte attrazione turistica mondiale, può costituire fonte di interessanti profitti. La popolazione residente, priva di adeguata istruzione e non fornita di strutture di ricerca e innovazione che rappresentino la base ed il fondamento di un sistema economico dinamico ed indipendente, può essere impiegata - naturalmente al minimo costo - nei servizi turistici (come camerieri, cuochi, lavapiatti, ecc.), necessari alle strutture che verranno installate dal capitale estero, fornendo - nel contempo - un importante flusso di domanda di latte olandese (…) e degli altri prodotti provenienti e venduti dalle multinazionali.

b.- Scorrendo l'elenco (sopra sintetizzato) delle"condizioni", si può constatare che praticamente tutti i provvedimenti che queste prevedono, sono da tempo in corso di attuazione anche nel nostro Paese. I nostri governanti le applicano diligentemente e, d'intesa con gli ordinanti, anche lentamente (infatti, a livello Ue si teme sopratutto l'emergere dei c.d. "partiti populisti", cioè quelli che pretendono di fare l'interesse della gente comune e che in Italia appaiono in espansione, anche se dal loro novero è stata lietamente depennata la Lega, quando si è alleata con la coalizione di centro-destra, favorevole alla Ue).

17.- Non è qui luogo per dettagliate analisi teoriche sulla totale mancanza di fondamento dei principi economici sui quali si vorrebbero basare le "condizioni": l' austerità, la lotta all'inflazione, la lotta alla spesa pubblica e così via. La questione si pone in termini molto semplici e brutali: "direttive" e "condizioni" sono intesi all'unica e sola esigenza di garantire che i titoli sovrani vengano integralmente pagati (e con gli interessi elevati che il "mercato", ossia chi tira le fila della finanza internazionale, ha, di volta in volta, stabilito, con il supporto delle Agenzie di rating).

18.- Ma questa esigenza (che, ripetiamo, non riguarda l'economia del Paese ma i suoi creditori) ne nasconde un'altra, molto importante ed anzi preminente: quella per il cui raggiungimento, in effetti, è stato creato il complesso meccanismo dell'indebitamento.

Si tratta di realizzare le premesse per porre in atto un meccanismo grazie al quale le grandi multinazionali possano liberamente disporre delle risorse del globo, ovunque queste si trovino e acquisiscano il controllo dell'economia e del sistema normativo di un Paese, mediante la corruzione di quei leaders politici perché assicurino un quadro legislativo favorevole, garantendo regole propizie al massimo profitto.

L'obbiettivo è pervenire alla espropriazione indiretta della sovranità popolare in misura da escludere ogni interferenza della volontà (e delle esigenze) della popolazione nelle decisioni che attengono l'attività economica in generale, aprendo altresì spazi per investimenti fruttuosi (come la privatizzazione dei servizi, concessioni per attività edili in parchi e luoghi protetti, ecc.).

19.- Recentemente, la Bce ha imposto alle banche italiane una drastica svalutazione delle sofferenze, che tutti (salvo alcuni embedded), hanno giudicato eccessiva. Questa svalutazione determina il crollo dei corrispondenti titoli in Borsa. Non solo, apre importanti buchi di bilancio, che impongono delle rilevanti ricapitalizzazioni. Insomma, visto che nell'eurozona i crediti deteriorati sono oltre mille miliardi (in Italia sono 172), non si tratta di una richiesta nè corretta nè opportuna, considerato che l'inasprimento dei requisiti patrimoniali provoca anche una contrazione del credito. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare in un contesto economico nel quale la domanda è debole.

In realtà, è un altro soccorso prestato alle grandi banche europee (sopratutto tedesche) che sono in difficoltà perché zeppe di titoli tossici senza alcun valore. La Bce ha aperto loro la porta di ingresso nel capitale delle banche italiane, che dispongono di appetitosi risparmi.

Contemporaneamente si tratta anche di un grosso affare per chi, (sempre i soliti noti) tira le fila dei grandi fondi esteri specializzati nel recupero dei crediti e che poi intervengono anche nelle ricapitalizzazioni a basso costo.

20.- E' ancora assai indicativo che la Troika si sia opposta con decisione ai tentativi del governo greco di smantellare le posizioni di privilegio di cui godono gli oligarchi greci (tra queste, la proprietà delle banche, che costoro utilizzano per finanziare i media di proprietà, nonchè parenti e amici: il c.d. insider lending). Tutto questo non riguarda l'indebitamento del Paese. Come non lo concerne la continua insistenza della Troika affinchè fosse riformato il mercato del lavoro, anche quando, già nel 2015, il deficit delle partite correnti era stato risanato.

La riforma doveva non tanto temporaneamente ma stabilmente determinare un abbassamento del costo del lavoro. La stessa insistenza viene esercitata altresì nei confronti di Italia, Spagna e Francia. Un basso costo del lavoro è infatti una basilare garanzia di buoni profitti.

E' più che evidente che non tanto ha rilievo l'interesse del Paese, quanto (e soltanto) quello dei centri mondiali della finanza per le finalità di cui sopra.

21.- Si consideri poi che la presenza di imprese estere sul territorio nazionale (ovvero il possesso estero di imprese nazionali) è fortemente negativa in quanto si traduce in una sottrazione di ricchezza. I profitti realizzati vengono infatti trasferiti fuori dai confini, quindi, non solo non vengono reinvestiti nel Paese, ma determinano una riduzione complessiva della domanda aggregata e dei redditi.

Il nostro Paese è particolarmente interessato da questo fenomeno, anche perché privo di grossi soggetti economici. Tralasciamo pure le grandi catene commerciali straniere e le complesse reti di vendita di servizi e beni di ogni genere (dalle agenzie di mediazione immobiliare alle sequele di punti di vendita di servizi, di gelati, di pizzerie, ecc.), egualmente con capitale estero, ma sopratutto i principali marchi dell'industria made in Italy, dalla moda all'alimentare, sono tutti in mani straniere.

E' una utilizzazione del buon nome commerciale delle nostre aziende e della domanda che attirano per raccogliere profitti ed esportarli. Il consumatore acquista la pasta Buitoni, la condisce con l'olio Bertolli ed i pomidoro Cirio, si gratifica con il cioccolato Perugina, fa un giro sulla moto Ducati, ecc., convinto sempre di comprare prodotti italiani e di aiutare l'economia del proprio Paese, mentre realizza l'esatto contrario.

Ma, oltre al danno, vi è la beffa: i gestori esteri di queste imprese comprano la materia prima al minor prezzo sul mercato internazionale, senza alcuna attenzione alla qualità. In tal modo danneggiano anche le industrie nazionali che si approvvigionano dai produttori locali e peggiorano altresì la bilancia commerciale italiana. L'espressione utilizzata, "colonizzazione surrettizia" non appare inappropriata.

22.- Anche nel campo delle privatizzazioni non andiamo meglio.

Quando lo Stato vende i suoi beni, impoverisce la collettività. Sul piano contabile, diminuisce il suo patrimonio, rinunciando alle corrispondenti rendite e può dover affrontare spese aggiuntive (allorchè deve pagare un affitto dopo aver venduto gli immobili di servizio).

La privatizzazione può essere giustificata quando lo Stato non riesce a gestire un bene che i privati potrebbero far rendere, ma comporta dei rischi di carattere politico se facilita dei monopoli o attribuisce troppo potere creando centri di influenza politica.

Che senso ha poi privatizzare l'acqua potabile per consegnarla ad aziende che sono partecipate da ditte possedute da Stati esteri (come avviene con la Hera, partecipata dalla Suez, controllata dallo stato francese)?

23.- La presenza di imprese estere, ancora, anche quando appartenenti a soggetti privati, può indurre i rispettivi governi ad imbarazzanti pressioni, che facilmente si traducono in indebite influenze decisionali, che possono lasciare in secondo piano gli interessi della collettività nazionale, per premiare quelli delle aziende estere.

Sarebbe quanto meno opportuno che qualche associazione dei consumatori provvedesse a segnalare al pubblico (che è in massima parte ignaro di questi movimenti finanziari) quali etichette italiane sono in realtà straniere, rappresentando l'opportunità di accuratamente evitarle per il bene (e la salute) di tutti.

24.- Come ognuno può constatare, viviamo mutamenti economici epocali: è in atto una rivoluzione forse più profonda di quella indotta con l'introduzione della industrializzazione.

Il settore maggiormente colpito è quello del lavoro. L'occupazione è inevitabilmente destinata a diminuire in tutto l'Occidente: il settore manifatturiero è aggredito dalla concorrenza del Terzo Mondo e interessato da una saturazione progressiva della domanda.

Purtroppo, è totalmente assente sia una corretta analisi del fenomeno, in tutte le sue ramificazioni e ricadute, sia un pur blando accenno di politica industriale che indirizzi ad una transizione dal manifatturiero al terziario.

Tuttavia, incombe l'esigenza improcrastinabile di provvedere a grandi investimenti nella ricerca e nella tecnologia che solo lo Stato può affrontare. E senza di questi, la recessione è garantita.

Nel nostro Paese, i politici sono afflitti dalla grave miopia dell'utile immediato di una poltrona (con le connesse possibilità di concedere favori remunerati) e di questo solo si preoccupano, mentre il bene collettivo è totalmente ignorato e il Paese va allo sbando.

In luogo di incentivare la creazione di una nuova economia dell'innovazione, basata sull'apprendimento e la conoscenza, si sta affossando il sistema scolastico, dalle elementari all'università. La ricerca è penalizzata da stanziamenti sempre più ristretti e il sistema fiscale non favorisce gli investimenti nella ricerca. L'abbattimento del servizio sanitario nazionale è altresì fortemente negativo perché ostacola la crescita. Non soltanto non si opera per costruire il futuro del Paese ma se ne stanno distruggendo le attuali potenzialità, in obbedienza ai comandi del potere finanziario.

Si evidenziano - volendo essere ottimisti - una inettitudine ed una incapacità funeste, che condurranno ad una contrazione generalizzata del benessere collettivo e ad una profonda modifica del modello sociale.

25.- Occorre prendere coscienza che esiste una incompatibilità "genetica" tra gli interessi e le esigenze della finanza e quelli della società civile.

L'inflazione, che abbassa il valore reale di quanto è dovuto dai debitori, li favorisce direttamente a scapito dei creditori. Per questo motivo la finanza (banchieri e investitori) sono fortemente ostili all'inflazione (ed infatti hanno imposto alla Bce di combatterla con ogni mezzo).

Senonché, per contrastare l'inflazione è necessario elevare i tassi di interesse e ciò costituisce e determina un deciso freno allo sviluppo.

Non solo: provoca disoccupazione. Tuttavia, appunto per questo, una elevata disoccupazione è valutata positivamente dalla finanza, in quanto garantisce una bassa inflazione.

E' sostanzialmente per queste ragioni che la politica monetaria, allorché si occupa del livello dei tassi, non può essere lasciata alle decisioni dei c.d. "tecnici", cioè alle banche centrali.

Tali decisioni, infatti, non sono affatto "tecniche" ma eminentemente politiche e soltanto ai politici (cioè al Parlamento) deve essere rimessa ogni deliberazione al riguardo.

26.- Come abbiamo sopra constatato, la Banca centrale europea, favorisce la finanza (del resto è nelle mani di una ristretta cerchia di operatori finanziari), a scapito della società.

Nel momento in cui insiste a promuovere, suggerire e addirittura imporre la riduzione dei salari, la compressione dei diritti del lavoro, (eliminando la contrattazione nazionale e promuovendo il precariato), la riduzione delle pensioni, ecc., non solo danneggia i lavoratori, ma deteriora la situazione generale dell'economia nazionale che, con l'euro, non dispone più delle due tradizionali forme di aggiustamento automatico: il tasso di cambio ed il tasso di interesse (Stiglitz).

In queste condizioni, più della sopravvivenza dell'Europa unita, è urgente preoccuparsi di quella delle singole nazioni, (e dell'Italia in primo luogo), che ne fanno parte. E così, della loro economia (intimamente legata alla storia ed alle tradizioni di ciascuna) e sopratutto delle loro popolazioni, che si vorrebbe - abbastanza sfacciatamente - ridurre al livello della Grecia.








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