di Valeria Zeppilli - Il medico che lavora in equipe non può sottrarsi dalla responsabilità per il danno cagionato a un paziente nel corso di un intervento chirurgico limitandosi ad addurre la colpa del sanitario che ha agito prima.
A tale proposito, con la recente sentenza numero 50038/2017 del 31 ottobre scorso (qui sotto allegata) la Corte di cassazione ha avuto infatti modo di ricordare cosa comporta, dal punto di vista della responsabilità professionale, la cooperazione tra più sanitari.
Convergenza di tutte le attività
Tale cooperazione in particolare, anche se le singole attività non sono contestuali, impone a ogni sanitario innanzitutto il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza richiesti dalle mansioni specificamente svolte. Ma non solo: è fondamentale che ciascun medico dell'equipe osservi anche gli obblighi che derivano dalla convergenza di tutte le attività svolte dal gruppo verso l'unico e comune fine.
Di conseguenza, il medico che non ha osservato una regola precauzionale su cui si innesta la condotta colposa di un altro medico, non può sottrarsi da responsabilità invocando il principio di affidamento. La sua responsabilità, infatti, per i giudici "persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità".
La vicenda
Nel caso di specie, la vicenda aveva ad oggetto il decesso di un paziente a seguito di una trasfusione di sangue incompatibile con il suo gruppo sanguigno.
Per la Corte d'appello, l'intera l'equipe andava quindi condannata per omicidio colposo, posto che le condotte dei singoli sanitari si inserivano tutte nella medesima area di rischio. Del resto, come si legge in sentenza, "il rischio riconducibile a ciascuna delle condotte non è mai rischio nuovo ma è sempre il medesimo, tipicamente evolutosi nei successivi passaggi verso l'evento già in origine prevedibile".
Tale posizione è perfettamente condivisa dalla Cassazione, dinanzi alla quale, tuttavia, due sanitari sono riusciti a farla franca per estinzione del reato per prescrizione, mentre i ricorsi degli altri due sono stati dichiarati completamente inammissibili.
Corte di cassazione testo sentenza numero 50038/2017