di Valeria Zeppilli - Il cliente che pretende di essere risarcito dal proprio avvocato per non aver questi impugnato una sentenza, ha un preciso onere probatorio: o deve dimostrare l'erroneità della pronuncia o deve produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova utili a dimostrare con ragionevole certezza che se il gravame fosse stato proposto, lo stesso sarebbe stato accolto.
Con la sentenza numero 25807/2017 (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha infatti ribadito che secondo costante giurisprudenza il cliente non può limitarsi a dedurre l'astratta possibilità della riforma in appello in senso a sé sfavorevole.
La vicenda
Nel caso di specie la vicenda riguardava un uomo deceduto a seguito di un sinistro stradale cagionato da un'auto rimasta sconosciuta.
I figli avevano convenuto in giudizio la compagnia di assicurazione indicata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, ma il loro avvocato non aveva partecipato a diverse udienze, non aveva escusso un teste che gli attori avevano indicato, non aveva svolto un'adeguata attività difensiva omettendo di presentare alcuni scritti e infine, dopo aver ottenuto una sentenza sfavorevole, aveva lasciato che questa passasse in giudicato senza impugnarla nei termini e senza informare tempestivamente gli assistiti della possibilità di proporre appello.
Avvocato negligente: sul cliente l'onere della prova
I clienti, dopo aver chiesto infruttuosamente il risarcimento dei danni subiti ai giudici del merito, hanno quindi interessato della vicenda la Corte di cassazione, per la quale "sulla base dei dati forniti sembrerebbero sussistere buone probabilità di integrale riforma della sentenza appellata mentre sarebbe privo della dovuta diligenza il comportamento del professionista che notizi i propri clienti dell'esito infausto della lite e della possibilità di proporre gravame solo pochi giorni prima dello spirare del relativo termine".
Nonostante ciò, il giudizio sul punto è un giudizio di merito e, come tale, non può essere affrontato dai giudici di legittimità. Il ricorso dei clienti è stato quindi dichiarato inammissibile, lasciando i ricorrenti, questa volta più che mai, con l'amaro in bocca.
Corte di cassazione testo sentenza numero 25807/2017• Foto: 123rf