di Lucia Izzo - Nel reato di violenza sessuale non ha valore scriminante il fatto che la vittima non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l''autore, per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei confronti della vittima, abbia la consapevolezza del rifiuto implicito ai congiungimenti carnali.
La vicenda
Va dunque condannato il marito che abusi della moglie, conscio del suo rifiuto implicito ai rapporti carnali: sul punto, è irrilevante la scelta della donna di non opporsi alle pretese del partner mantenendo altresì il riserbo sulle sopraffazioni subite.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, III sezione penale, nella sentenza n. 51074/2017 (qui sotto allegata), che ha dichiarato inammissibile il ricorso dell''imputato, condannato, tra gli altri, anche per il reato di cui all''art. 609-bis (Violenza sessuale), in danno della moglie.
In Cassazione, l''uomo sottolinea la non credibilità e la contraddittorietà delle dichiarazioni della parte offesa: oltre a evidenziare l''interesse economico della donna e il suo rancore, l''imputato sottolinea che, prima della denuncia, la partner non aveva mai chiesto aiuto o parlato della vicenda con nessuno, neppure le figlie presenti nell''abitazione, e che non sussistevano referti medici attestanti la presunta violenza.
Il ricorso, tuttavia, non coglie nel segno: la Cassazione sottolinea il valore della doppia motivazione conforme resa da entrambi i giudici territoriali ed evidenzia che, avendo l''uomo impugnato la sola parte del provvedimento di merito riguardante il reato di violenza personale, nulla più quaestio sugli altri fatti di reato, parimenti ascrittigli, di maltrattamenti in famiglia, danneggiamento e lesioni personali.
Già un simile confermato contesto, spiega la Cassazione, fa assumere credibilità alle dichiarazioni di parte civile; inoltre, come logicamente spiegato dalla Corte territoriale, la condotta meramente passiva assunta dalla donna in occasione delle iniziative sessuali del coniuge e i silenzi con i parenti, sono giustificati dal naturale pudore di trattare argomenti del genere soprattutto con la prole, che pure aveva assistito a ripetuti episodi di violenza domestica.
Violenza sessuale anche se c''è rifiuto implicito della vittima al rapporto
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità in altre occasioni (cfr. sent. 49597/2016), ai fini della sussistenza dell''elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l''agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico.
Ancora, per la configurabilità del reato di violenza sessuale, "è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull''altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l''esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l''agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest''ultima al compimento di atti sessuali".
Alla stregua di tali rilievi, pertanto, i riferiti episodi di violenza passivamente subita trovano adeguata conferma e sufficiente riscontro proprio nel complessivo clima familiare, ormai non più revocabile in dubbio e connotato da inesausta sopraffazione e da proclamato disprezzo nei confronti della parte civile.
Cassazione, sentenza n. 51074/2017