di Lucia Izzo - Come stabilito dall'art 70 del d.lgs. n. 151/2001, se l'avvocata iscritta all'albo svolge anche un secondo impiego come insegnante part-time, Cassa Forense può negarle l'erogazione dell'indennità di maternità, laddove questa le sia stata già corrisposta dal MIUR.
La normativa in materia tutela il mantenimento del tenore di vita della donna contro una sua radicale riduzione, ma si tratta di un concetto che non può sovrapporsi a quello del livello retributivo goduto in senso stretto.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 27224/2017 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso della Cassa Nazionale Previdenza Forense.
La vicenda
La professionista, iscritta all'Albo degli avvocati e anche insegnante scolastico di ruolo part-time, aveva contestato il rigetto della domanda di corresponsione da parte della Cassa forense dell'indennità di maternità, motivato dalla circostanza che tale indennità era già stata erogata dall'INPDAP in virtù del rapporto di lavoro con il M.I.U.R.
La sua domanda era accolta in primo grado e in appello il ricorso di Cassa risultava vittorioso limitatamente alla condanna al pagamento degli accessori sul credito mediante il cumulo di interessi e rivalutazione
Per il giudice a quo, era possibile un cumulo con la prestazione concessa da altro Ente in virtù di un diverso rapporto di lavoro autonomo o dipendente, posto che, in caso di doppio impiego part-time, la giurisprudenza costituzionale aveva legittimato la possibilità di una doppia erogazione per garantire alla gestante la massima sicurezza economica.
In Cassazione, Cassa deduce la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 151/2001, artt. 70 e 71: tali disposizioni, sottolinea la ricorrente, implicano necessariamente il divieto di cumulo tra prestazioni, come dimostrano sia l'obbligo di autocertificare il non godimento di altro trattamento per lo stesso titolo, che la peculiare modalità di calcolo dell'indennità prevista per le libere professioniste (previsione di una soglia minima e massima non compatibile con la contemporanea erogazione di ulteriori prestazioni di maternità).
Ancora, l'interpretazione della Corte territoriale avrebbe contrastato anche con la formulazione letterale dell'art. 71 del citato d.lgs. che non consente alla Cassa di erogare il trattamento di maternità allorché la lavoratrice abbia già goduto per lo stesso titolo di un trattamento a carico di altro ente previdenziale come nel caso di specie.
Indennità di maternità: niente cumulo tra Cassa e altro ente previdenziale
La Cassazione conferma l'interpretazione della normativa offerta da Cassa, secondo cui il diritto in parola può essere richiesto a condizione che la lavoratrice ne faccia domanda, documenti idoneamente lo stato di gravidanza e la data presunta del parto e attesti con dichiarazione ad hoc l'inesistenza di altro trattamento di maternità come lavoratrice pubblica o autonoma.
Si tratta, sotto quest'ultimo profilo, di un requisito essenziale per l'erogazione della prestazione poichè la finalità della norma è, in piena evidenza, quella di evitare il cumulo di prestazioni da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento e cioè la situazione di maternità, come peraltro previsto anche per altre prestazioni di natura assistenziale o previdenziale.
La formulazione della norma, del tutto chiara e univoca, non consente un'interpretazione diversa dall'impossibilità di godere del trattamento previsto dall'art. 70 nel caso in cui la richiedente goda già di una prestazione di altro ente in quanto, diversamente opinando, la disposizione sarebbe inutiliter data e non avrebbe alcuna utilità.
Inoltre, la Cassazione nega i dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 31 Cost.: la giurisprudenza costituzionale, infatti, ha precisato che l'indennità di maternità "serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilità di vivere questa fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternità si ricolleghi una stato di bisogno economico".
Tuttavia, precisa la Corte, ciò che va evitata è la "radicale" riduzione del tenore dello vita, nonché di uno stato di bisogno, situazioni che certamente non coincidono automaticamente con una determinazione dell'indennità in una misura ridotta rispetto alla precedente retribuzione goduta prima dello stato di gravidanza.
Infatti, lo stesso concetto di "tenore di vita" non è sovrapponibile a quello di livello retributivo goduto in senso stretto. La considerazione per cui la lavoratrice, nel caso in esame, abbia subito una riduzione molto sensibile del tenore di vita precedentemente goduto, avendo ottenuto la sola prestazione a carico dell'INPDAP in relazione al rapporto part-time, non appare risolutiva per decidere la controversia.
Tale conseguenza è stata frutto di scelta della stessa ricorrente che, invece di optare per il trattamento offerto dalla Cassa, ha scelto quello dell'ente di previdenza pubblico, senza quindi usufruire degli ingenti (secondo la difesa della lavoratrice) contributi professionali versati.
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