di Lucia Izzo - Per integrare il c.d. danno esistenziale non sono sufficienti meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità: non spetta, dunque, alcun ristoro economico al cliente che, a causa di problemi alla linea telefonica, aveva lamentato una situazione di stress causata dal dubbio di aver perso una telefonata importante.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, VI sezione civile, nell'ordinanza n. 27229/2017 (qui sotto allegata) pronunciatasi sull'impugnazione della sentenza con cui il Tribunale, in qualità di giudice del gravame, aveva accolto l'impugnazione promossa da Telecom Italia.
La vicenda
Il giudice di seconde cure, così facendo, aveva riformato il provvedimento del giudice di Pace con cui era stato riconosciuto al cliente il risarcimento del c.d. danno esistenziale in ragione dell'estenuante "situazione di disagio e di ansia" causata "dal dubbio di aver perso una telefonata importante in arrivo sull'utenza di casa e determinata dalle disfunzioni presenti sulla propria linea telefonica".
La battaglia dell'uomo, defunto nelle more del giudizio, viene portata avanti in Cassazione dalla moglie, secondo la quale non può "negarsi che la privazione del servizio telefonico in entrata per quasi due anni" abbia menomato "il diritto dell'utente alla libertà di comunicazione di cui all'art. 15 Cost. e di manifestazione del pensiero di cui all'art. 21 Cost.".
Inoltre, soggiunge la difesa, "una situazione di volontaria inerzia per quasi due anni, ad onta dell'obbligo di assolvere alla richiesta entro il numero limitato di giorni previsto dalla carta dei servizi integra indubbiamente il delitto di cui all'art. 340 c.p.".
Danno esistenziale: non sufficiente il mero "sconvolgimento dell'agenda" con disagi, fastidi e ansie
Tuttavia, il gravame appare strutturalmente fragile e impedisce ai giudici della Cassazione di pronunciarsi debitamente sulla vicenda: ad esempio, si sottolinea la lacunosità del ricorso contenente un mero richiamo di atti e documenti del giudizio di merito, che non vengono poi riprodotti, mancando così le indicazioni necessarie per la ricostruzione della sequenza dello svolgimento del processo, in quanto le censure sono formulate in maniera affatto chiara e intellegibile.
Lacune alle quali la Cassazione ritiene di non poter sopperire con indagini integrative, non essendo sufficienti per la pronuncia di legittimità mere affermazioni, come nel caso, apodittiche, a cui non segua alcuna ricostruzione a fortiori allorquando, come nella specie, da esse emerge una prospettazione del fatto diversa da quella desumentesi dall'impugnata sentenza.
Invece, sottolinea il Collegio, nell'impugnato provvedimento risulta fatta corretta applicazione del consolidato principio in base al quale, per ritenere integrato il danno c.d. esistenziale, non sia sufficiente un mero "sconvolgimento dell'agenda" o la mera perdita delle "abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita", in particolare in situazione di meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (cfr. Cass., Sez. Un., sentt. nn. 26972 e 26973 dell'11/11/2008).
Poiché l'esame del motivo non offre elementi per mutare orientamento al riguardo, la Corte respinge il ricorso dichiarandolo inammissibile.
Cass., VI sez. civ., ord. n. 27229/2017• Foto: 123rf.com