di Lucia Izzo - Una nuova disciplina per l'equo compenso spettante ai professionisti, limitata ai rapporti tra questi e le grandi imprese, comprese quelle bancarie e assicurative, mentre con le pubbliche amministrazioni varrà in caso di incarichi conferiti dopo l'entrata in vigore della legge.
Un ruolo centrale sarà assunto dal giudice a cui spetterà il compito di accertare in concerto la sussistenza dell'iniquità del compenso (inferiore ai parametri giudiziali) e la vessatorietà di una clausola, potendone poi dichiarare la nullità.
Sono le novità contenute nel maxiemendamento al d.l. fiscale approvato al Senato (qui sotto allegato) e ora in attesa del sì definitivo alla Camera: questo, all'art. 19-quaterdecies aggiunge un nuovo art. 13-bis all'interno della legge 247/2012 dedicato proprio a "Equo compenso e clausole vessatorie".
Una disciplina dettata, in un primo momento, per la sola avvocatura, situazione che ha generato forti polemiche e un dibattito che si è concluso con l'estensione a tutti i professionisti, sia iscritti ad appositi ordini o collegi che semplici titolari di partita IVA, affinchè potesse contrastarsi l'annoso problema delle prestazioni al massimo ribasso e degli incarichi da svolgere a titolo gratuità.
Il concreto impatto delle modifiche, tuttavia, potrà essere colto solo a seguito della definita approvazione, posti soprattutto due grandi limiti: da un lato, la previsione che le clausole vessatorie, di cui diverse tipologie sono elencate nella nuova norma, tali non più siano se abbiano formato oggetto di specifica trattativa e approvazione, dall'altro, il passaggio innanzi al giudice per la dichiarazione anche dell'iniquità del compenso che, pertanto, non sarà automatica.
Equo compenso anche nei rapporti con la P.A.
La nuova norma disciplina l'equo compenso per le attività svolte limitatamente ai rapporti con grandi imprese, imprese bancarie o assicurative, ovverosia quelle che non rientrano nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, regolata da convenzioni predisposte unilateralmente da tali interlocutori.
Il principio dell'equo compenso, tuttavia, dovrà essere garantito anche dalle pubbliche amministrazioni, ma risulterà effettivo solo per le prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l'entrata in vigore della legge.
Così definito il perimetro applicativo, la norma chiarisce che il compenso è considerato equo se risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.
Il riferimento offerto dalla disposizione è quello dei parametri giudiziari stabiliti dai Ministeri in relazione ai diversi ordini professionali; per le altre categorie, invece, si renderà necessaria una successiva precisazione sul punto circa le modalità per individuare i compensi.
Clausole vessatorie salvo specifica trattativa e approvazione
Quanto alla vessatorietà delle clausole, la norma ritiene tali quelle idonee a determinare, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato.
Accanto alla definizione generale sulla vessatorietà delle clausole contrattuali, il maxiemendamento fornisce, altresì, una puntuale elencazione di disposizioni da considerarsi tali, ma al tempo stesso corregge il tiro facendo salva la possibilità che queste siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione, perdendo così il loro carattere vessatorio.
Unica eccezione si rintraccia in quelle (considerate sempre vessatorie nonostante trattativa e approvazione) che riservano al cliente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto e/o attribuiscano allo stesso la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l'avvocato debba eseguire a titolo gratuito.
La norma chiarisce, inoltre, che non costituiscono prova della specifica trattativa e approvazione le dichiarazioni contenute nelle convenzioni che attestano genericamente l'avvenuto svolgimento delle stesse, senza specificare le modalità con cui tali trattative siano state svolte.
Nullità clausole vessatorie: il ruolo del giudice
Le clausole considerate vessatorie saranno da considerarsi nulle, ma tale nullità non si estenderà alla restante parte del contratto che rimarrà valida.
L'azione diretta alla dichiarazione di nullità di una o più clausole delle convenzioni, dovrà essere proposta dall'interessato, a pena di decadenza, entro 24 mesi dalla data di sottoscrizione della convenzione medesima.
In tale contesto assume un ruolo fondamentale il giudice al quale è rimesso il potere di accertare la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola, potendone dichiarare la nullità stabilendo il compenso del'avvocato tenendo conto dei summenzionati parametri indicativi.
Maxiemendamento d.d.l. Fiscale• Foto: 123rf.com