di Lucia Izzo - L'iniziale disponibilità a un approccio non rende meno grave la violenza sessuale perpetrata laddove vi sia stato poi un chiaro e inequivoco dissenso al rapporto.
Va dunque confermata la condanna ex art. 609 c.p. nei confronti dell'uomo che ha abusato sessualmente di una donna essendo irrilevante, stante il suo successivo esplicito rifiuto, la circostanza che fosse stata lei ad averlo inizialmente approcciato nel locale in cui lavorava.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, nella sentenza n. 52809/2017 (qui sotto allegata) conformando la condanna nei confronti di un uomo alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per il reato di violenza sessuale.
La vicenda
Questi aveva con violenza costretto la vittima, contro la sua volontà, a subire un rapporto sessuale. A seguito della condanna, l'uomo ricorre in Cassazione lamentando, tra l'altro, che le dichiarazioni della persona offesa non fossero state adeguatamente vagliate quanto a credibilità e attendibilità intrinseca del racconto.
Ha sottolineato, in proposito, la mancanza di segni di violenza sulla persona offesa, non riscontrati in occasione della sua visita presso il pronto soccorso dell'ospedale, che, invece, sulla base del suo racconto e tenendo conto della corporatura dell'imputato, avrebbero dovuto essere certamente esistenti e chiaramente visibili.
Per la difesa, la Corte territoriale avrebbe sbagliato ad escludere l'ipotesi attenuata di cui al terzo comma dell'art. 609-bis c.p., non avendo considerato che la donna si era dimostrata disponibile al rapporto sessuale poichè, in maniera intraprendente, aveva avvicinato l'imputato nel locale dove lo stesso lavorava, offrendogli da bere e rivolgendogli vari apprezzamenti, nonché proponendogli di trascorrere qualche ora insieme a casa sua.
Violenza sessuale grave anche se la vittima si era mostrata inizialmente disponibile
Per la Cassazione sono inammissibili le censure con cui l'uomo ha denunciato l'insufficiente valutazione dell'attendibilità della persona offesa e della genuinità delle sue dichiarazioni. Tali valutazioni, infatti, non sono censurabili nel giudizio di legittimità qualora siano, come nella specie, adeguatamente e logicamente motivate.
La Corte d'appello ha evidenziato come la persona offesa avesse reiterato in modo concorde le sue dichiarazioni accusatorie, sottolineando, sin dall'accesso presso il pronto soccorso, di essere stata vittima di violenza sessuale presso il domicilio dell'aggressore.
Inoltre, dalla relazione del consulente tecnico, non era emersa alcuna influenza delle condizioni psichiche della persona offesa sulla sfera cognitiva e mnesica; a riscontro erano anche intervenute le dichiarazioni del padre e della zia della vittima che avevano riferito del suo evidente disagio una volta tornata a casa, nonchè le risultanze del referto del pronto soccorso che aveva spiegato in modo razionale l'assenza di segni di violenza sulla persona offesa all'atto della sua visita presso il pronto soccorso, avendo l'imputato esercitato su di lei solo una pressione fisica per allargarle le gambe.
Per i giudici, inoltre, quanto avvenuto non rientra nelle ipotesi di minore gravità previste dall'art. 609-bis, comma tre, c.p.; tale ipotesi attenuata, infatti, postula che, sulla base di una valutazione globale del fatto (nella quale assumono rilievi i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età), la libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato alla vittima, anche in termini psichici, non sia di rilevante entità.
Ciò va escluso nel caso di specie, come ha correttamente evidenziato la Corte d'appello, stante la condotta tenuta dall'imputato e l'impatto emotivo della stessa sulla vittima, come sottolineato anche dal consulente tecnico a proposto della destabilizzazione delle condizioni della persona offesa e dell'ansia dalla stessa dimostrata nel raccontare la vicenda.
In considerazione della netta manifestazione di dissenso della persona offesa, i giudici d'appello hanno correttamente giudicato irrilevante, quanto alla configurabilità di detta ipotesi attenuata, il precedente comportamento intraprendente della persona offesa medesima, e tale considerazione risulta del tutto corretta.
Infatti, l'eventuale precedente manifestazione di disponibilità non rende meno grave la condotta a fronte di una chiaro e inequivoco dissenso al rapporto sessuale, che abbia, come nel caso in esame, determinato una significativa violazione della sfera sessuale della vittima con la conseguente irrilevanza, sul piano della valutazione della gravità della condotta e delle sue conseguenze, della condotta anteriore della persona offesa.
Cass., II sez. pen., sent. n. 52809/2017