di Annamaria Villafrate - In assenza di esclusiva territoriale, nel contratto di franchising, l'affiliante può fare concorrenza all'affiliato aprendo un nuovo punto vendita a distanza di una decina di metri? A questa domanda ha risposto una recente sentenza del tribunale di Milano (la n. 2648/2017 sotto allegata), mettendo a confronto la disciplina sull'esclusiva del franchising e il principio di buona fede.
Cos'è il franchising
Prima di trattare il tema dell'esclusiva territoriale del contratto di franchising affrontata dalla sentenza milanese, è opportuno ricordare brevemente in che cosa consiste l'affiliazione commerciale.
A tal fine, si riporta un estratto della sentenza
n. 647 del 15.01.2007, che così recita:"con il contratto di affiliazione commerciale (o franchising) un produttore o rivenditore di beni od offerente di servizi (franchisor) ed un distributore (franchisee), al fine di allargare il proprio giro commerciale e di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato - creando una rete di distribuzione senza dover intervenire direttamente nelle realtà locali - concede, verso corrispettivo, di entrare a far parte della propria catena di produzione o rivendita di beni o di offerta di servizi ad un autonomo ed indipendente distributore (franchisee), che, con l'utilizzarne il marchio e nel giovarsi del suo prestigio, ha modo di intraprendere un'attività commerciale e di inserirsi nel mercato con riduzione del rischio".Per approfondimenti vai alla guida legale Il franchising
Cosa dice la legge sull'esclusiva territoriale del contratto di franchising
In base alle "Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale" contenute nella legge n. 129 del 6 maggio 2004: "Il contratto deve inoltre espressamente indicare l'ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall'affiliante".
Ora, cosa accade se il contratto non prevede l'esclusiva territoriale in favore dell'affiliato e l'affiliante apre un punto vendita in prossimità di quest'ultimo?
Secondo il Tribunale di Milano, anche in assenza dell'esclusiva territoriale, l'affiliante che fa concorrenza al proprio affiliato è inadempiente perché viola il principio di buona fede, legittimando la richiesta di risoluzione dell'affiliato.
Franchising: le motivazioni del Tribunale di Milano
Per comprendere come il giudicante milanese è giunto a questa conclusione, si riportano i passi più significativi della sentenza:
"Il punto della contesa è dunque se in assenza di esplicita delimitazione di esclusiva territoriale l'affiliante nel franchising sia o meno libero di aprire punti vendita con altri affiliati dove gli pare, anche in prossimità a precedenti affiliati. (…) Non si può negare che la legge 129 del 2004, a prescindere dalla prescrizione dell'articolo 3 lettera C ora ricordata, abbia di mira anche la distribuzione territoriale dell'attività economica. Difatti all'articolo 1 la legge prevede che il franchising serva ad inserire l'affiliato "in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio". Difatti la legge 129 del 2004 considera l'interesse dell'affiliato alla ubicazione degli altri affiliati, interesse del resto intuitivo senza bisogno di particolari competenze commerciali. All'articolo 4 punti D ed E, quella legge difatti obbliga l'affiliante a fornire nel contratto "una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema dei punti di vendita diretti dall'affiliante", nonché la "indicazione della variazione anno per anno del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni": se questi fatti vanno comunicati la valutazione normativa non può che essere quella della rilevanza per l'affiliato dello sviluppo territoriale della rete distributiva.
E se dunque l'esclusiva in relazione alla zona attribuita all'affiliato non costituisce elemento necessario del contratto, scrive il giudice meneghino, non per questo può essere lasciato all'arbitrio dell'affiliante stabilire una strategia di ubicazione dei punti vendita che comprometta gli interessi dell'affiliato. Come si è detto infatti partecipa della causa del contratto di franchising la comunità di scopo, la migliore riuscita cioè dell'attività commerciale di entrambi, al di là delle royalties e dei contributi versati.
Giustamente rileva l'attore in conclusionale che per il principio di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione l'operatore economico non può dirsi completamente libero di massimizzare i suoi profitti, ma deve considerare la dimensione sociale dell'impresa, tanto più quando abbia stretto un contratto di collaborazione quale quello qui considerato.
Ad aggravare il comportamento scorretto di aprire un negozio troppo vicino - ed anche di dimensioni maggiori - a quello preesistente vi è il fatto che il contratto riguardava, come si legge alla lettera D delle premesse, negozi monomarca, per cui l'affiliato non poteva nemmeno difendersi ampliando l'offerta. L'articolo 21 del contratto recita che "il rivenditore autorizzato per tutta la durata del contratto non potrà svolgere qualsivoglia attività concorrente con quella di "...", dal che è evidente la asimmetria che sarebbe insita nel ritenere che mentre l'affiliato non può rivolgersi ad altri fornitori, l'affiliante invece sarebbe libero di fargli concorrenza.
In effetti vi è differenza fra l'attribuire una zona in esclusiva e aprire punti vendita in concorrenza: nel primo caso sarebbe stato il contratto a stabilire la zona e quindi la distanza cui poter aprire un altro negozio, nel secondo caso questa distanza non è stabilita, ma l'obbligo di buona fede impone che non vi possa essere sensibile riflesso dell'apertura di un nuovo negozio sull'attività dei preesistenti. In altre parole la determinazione della zona di esclusiva è garanzia per l'affiliato, ma anche per l'affiliante perché vale a delimitare la zona oltre la quale nulla gli verrebbe addebitato per la concessione di altri punti vendita.
In sostanza, dunque, collocarsi nei pressi della rivendita altrui è una regola di chi voglia fare concorrenza, "ma fare concorrenza al proprio affiliato è contrario alla buona fede, specie in assenza di una delimitazione dell'ambito territoriale che renda chiaro all'affiliato cosa può attendersi. Si tratta di un inadempimento rilevante, proprio perché va ad incidere su quella parte della causa tipica del contratto che è la corretta gestione di una attività economica, che legittima la risoluzione richiesta dalla parte attrice".
Trib. Milano, sentenza n. 2648/2017• Foto: 123rf.com