di Valeria Zeppilli - Il legale che offre la propria prestazione professionale a una persona determinata per il compimento di un affare specifico rischia di essere sanzionato deontologicamente per violazione del divieto di accaparramento di clientela, oggi disciplinato dall'articolo 37 del codice deontologico.
Tanto è accaduto a un avvocato che aveva scritto sia a un Comune che a una Provincia per proporsi quale difensore di tali enti ai fini della costituzione di parte civile in un procedimento penale per disastro ambientale, peraltro manifestando anche la propria disponibilità ad applicare, per il compenso, i minimi tariffari: con la sentenza numero 139/2017 (qui sotto allegata), il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sanzione della censura a suo carico.
Rilevanza disciplinare
Dinanzi al CNF a nulla sono valse le difese del legale, che aveva tentato di rilevare che mentre la disposizione deontologica che vieta l'accaparramento di clientela si porrebbe quale baluardo del raggiungimento di fini di stretto utilitarismo individuale, nel caso di specie egli aveva l'unica intenzione di scongiurare che gli enti destinatari della sua offerta si costituissero parte civile in un processo di rilevante interesse sociale.
In realtà, però, dal contenuto dell'offerta (almeno di quella indirizzata al Comune) emergeva chiaramente che si trattava di un'offerta di prestazione professionale fatta "al fine di acquisire un nuovo rapporto di clientela, con modalità non conformi alla correttezza e decoro professionale, comportamento questo disciplinarmente rilevante in riferimento agli artt. 5 e 19 del previgente codice deontologico".
La sanzione già inflitta dal COA di appartenenza è stata quindi confermata.
CNF testo sentenza numero 139/2017• Foto: 123rf.com