di Lucia Izzo - Niente licenziamento per il dipendente se il provvedimento disciplinare si chiude oltre 120 giorni dopo l'arrivo della notizia dell'infrazione al capoufficio dell'incolpato. Si tratta di situazione idonea a far decorrere il termine decadenziale previsto dalla legge, anche se solo successivamente la notizia è giunta all'ufficio per i provvedimenti disciplinari.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 28891/2017 (qui sotto allegata).
La vicenda
Nel caso in esame, il Tribunale aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento comminato da una ULSS al proprio dipendente, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.
In sede di reclamo, la datrice contestava il provvedimento impugnato nella parte in cui aveva ritenuto illegittimo il procedimento disciplinare per mancato rispetto del termine decadenziale stabilito per la sua conclusione dall'art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001, ossia entro 120 giorni dalla notizia di illecito.
Tuttavia, la Corte d'Appello rilevava pacificamente che il procedimento era terminato oltre il termine previsto dalla data di prima acquisizione della notizia di infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura presso la quale il dipendente lavorava.
Il reclamo viene in parte accolto, invece, quanto alle conseguenze del licenziamento: per il giudice di seconde cure, alla fattispecie avrebbe dovuto applicarsi la disciplina sostanziale di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012, da cui discendeva comunque l'effetto ripristinatorio del rapporto e o la tutela meramente indennitaria.
In Cassazione, la ULSS deduce nuovamente che, in ragione del sistema delineato dalla normativa in questione, avrebbe dovuto farsi riferimento alla contestazione e non all'acquisizione della notizia della violazione per computare il termine per la conclusione del procedimento.
Procedimento disciplinare: il dies a quo decorre dalla notizia giunta al responsabile della struttura
Un motivo che gli Ermellini considerano infondato. Come già espresso da altro precedente di legittimità (cfr. sent. 20733/2015), in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualzizato, ai sensi dell'art. 55-bis, comma 4 del d.lgs. n. 165/2001, la data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall'azione disciplinare, il relativo procedimento, coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all'ufficio per i procedimenti disciplinari, o, se anteriore, con la data in cui è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora.
La fissazione di un termine finale entro cui concludere il procedimento, risponde a molteplici esigenze, a vantaggio di ambedue le parti: quella del dipendente a non rimanere assoggettato al procedimento per un tempo indefinito, ma anche quella di consentire all'amministrazione datrice di lavoro una reazione congrua ed esemplare anche per gli altri lavoratori.
Ciò non può avvenire se non individuando in modo certo e oggettivamente verificabile il dies a quo da cui far decorrere il termine in discorso, tanto più che il valore costituzionale di regole che assicurano il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da un'interpretazione che lasciasse il dies a quo del procedimento nel vago.
Il Collegio, nel dare continuità a tali principi, ritiene che tale interpretazione sia l'unica conforme al principio del giusto procedimento, cui deve conformarsi l'azione della P.A. anche in sede di procedimento disciplinare a carico dei dipendenti, che è posto a garanzia dei principi di pubblicità e trasparenza dell'azione dell'ammininstrazione.
La Corte, invece, accoglie il ricorso incidentale della lavoratrice quanto all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, riscritto dalla legge Fornero: nella specie, infatti, avrebbe dovuto trovare applicazione il testo ante legge n. 92/2012 trattandosi di norma che nasce per esigenze del settore privato e non applicabile, dunque, ai rapporti di pubblico impiego privatizzato.
In attesa di ulteriori interventi normativi, pertanto, la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all'entrata in vigore dalla richiamata legge resta, per la Cassazione, quella previsa dal testo ante riforma.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 28891/2017