di Valeria Zeppilli - Il cliente di una banca che lamenta la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati relativamente a un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e ha, pertanto, intenzione di proporre l'azione di ripetizione nei confronti dell'istituto di credito, deve provvedervi nel termine prescrizionale di dieci anni.
Se i versamenti hanno avuto la sola funzione di ripristinare la provvista, come si legge nella sentenza numero 28819/2017 della Corte di cassazione (qui sotto allegata), tale termine decorre dalla data in cui il saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti è estinto e non dalla data in cui ogni singola posta di interessi addebitati illegittimamente è stata annotata.
La pretesa restitutoria
A tale proposito occorre infatti considerare che il pagamento che può dare luogo a una pretesa restitutoria e, quindi, al diritto alla ripetizione, "è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens".
Versamenti in pendenza di rapporto
Prima della chiusura del conto, invece, possono essere qualificati come pagamenti esclusivamente i versamenti che il cliente ha eseguito in presenza di uno scoperto e con il fine di ricondurre il saldo nei limiti del fido e solo la loro effettuazione ad estinzione di un debito che è parzialmente o totalmente inesistente fa sorgere il diritto alla ripetizione e decorrere il termine di prescrizione.
Tuttavia, non è del correntista l'onere di provare di non aver effettuato tali versamenti, ma è la banca che eccepisce la prescrizione del credito che deve semmai far valere l'effettuazione di rimesse solutorie in pendenza di rapporto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 28819/2017• Foto: 123rf.com