di Valeria Zeppilli - Chi si rifiuta di restituire gli acconti ricevuti dal promissario acquirente per la vendita di un immobile non andata in porto non può essere condannato per appropriazione indebita. Lo ricorda la Corte di cassazione nella sentenza numero 54521/2017 (qui sotto allegata), ponendo in evidenza che in simili ipotesi manca il presupposto dell'impossessamento della cosa altrui richiesto dall'articolo 646 del codice penale.
Obbligo di restituzione civilistica
Infatti, per i giudici, l'acconto relativo a un preliminare e versato dal promissario acquirente al promittente venditore entra a far parte del patrimonio dell'accipiens e, rispetto ad esso, può essere ipotizzato solo un obbligo di restituzione di natura civilistica.
Diverso è il caso in cui il denaro è consegnato al percettore con uno specifico mandato volto a tracciarne la destinazione finale della somma, rispetto al quale in capo all'accipiens si determina invece la posizione di mero detentore del denaro.
Insomma: con l'acconto corrisposto in sede di preliminare di compravendita, si effettua un trasferimento di proprietà in capo a chi lo riceve il quale, quindi, diviene obbligato ad adempiere l'obbligazione contratta, rappresentata dalla consegna del bene compravenduto.
Nessuna distinzione dalla caparra
Con la sentenza in commento, la Corte ha anche precisato che, ai fini penalistici, l'acconto in nulla differisce dalla caparra, posto che nessuno dei due ha un impegno vincolato con la conseguenza che, in entrambi i casi, "nel caso in cui il contratto venga meno fra le parti con conseguenti effetti restitutori, matura solo un obbligo di restituzione, che, ove non adempiuto, integra solo gli estremi di un inadempimento di natura civilistica".
Corte di cassazione testo sentenza numero 54521/2017Appropriazione indebita: guida legale