La vicenda
La pronuncia della S.C. trae origine da un ricorso in materia familiare. Nello specifico, avviato da una ex moglie che si doleva della sentenza d'appello che aveva respinto parzialmente il reclamo sulla revoca dell'assegnazione della casa familiare e dell'assegno divorzile in suo favore. La Corte d'Appello, prima di decidere nel merito (ritenendo appunto pienamente giustificata la revoca e dell'assegnazione della casa e dell'assegno) in via preliminare aveva respinto l'eccezione di nullità della sentenza del tribunale per essere stato il provvedimento appellato redatto da un g.o.t., rilevando che la limitazione attinente alle materie da trattare da parte dei giudici onorari è riferibile a normazione di carattere secondario per la quale non è stabilita alcuna sanzione di nullità.
La donna perciò ricorreva per Cassazione lamentando la nullità della sentenza di primo grado ex art. 50 quater e 161 c.p.c., per violazione dell'art. 106 Cost, comma 2, che prevede che i magistrati onorari possano essere nominati per tutte le funzioni attribuite a giudici "singoli", così escludendo che un g.o.t. possa far parte di un collegio.
Per la Cassazione, però, il motivo è manifestamente infondato e il ricorso va rigettato.
Giudici onorari e togati sono uguali
Va ribadito, affermano infatti gli Ermellini, il costante orientamento della giurisprudenza secondo il quale: "I giudici onorari - sia in qualità di giudici monocratici che di componenti di un collegio - possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza
per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, come si evince dall'art. 106 Cost., cosicchè, in ipotesi siriane, deve escludersi la nullità della sentenza per vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio, ossia non investita della funzione esercitata".Né, peraltro, prosegue la sentenza, a diversa conclusione può indurre il R.d. n. 12 del 1941, art. 43-bis che vieta ai giudici onorari di tenere udienza se non in caso di impedimento o mancanza dei giudici ordinari, "espressione quest'ultima da intendersi come comprensiva di quelle situazioni di sproporzione fra organici degli uffici e domanda di giustizia, rispetto alle quali l'impiego della magistratura onoraria conserva una funzione suppletiva e costituisce una misura apprezzabile nell'ottica di un'efficiente amministrazione della giustizia". E d'altronde, la normazione secondaria del Csm, invocata dalla donna, non è evidentemente idonea a configurare una nullità non prevista dalle norme di legge.
Cassazione, sentenza n. 28937/2017
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