di Raffaella Feola - Il reato di false informazioni al pm, ex art. 371-bis c.p., punisce "chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale internazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito" con la reclusione fino a quattro anni.
Nel caso di rifiuto di informazioni la procedibilità è immediata, ma negli altri casi, il procedimento penale resta sospeso fino a quando non è pronunciata la sentenza di primo grado, ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con sentenza di non luogo a procedere o archiviazione.
Le disposizioni di cui al 1° e 2° comma, si applicano nell'ipotesi prevista dall'art. 391 bis, comma 10 c.p.p., anche quando le informazioni ai fini delle indagini sono richieste dal difensore.
La ratio del reato di false informazioni al pm
Ad introdurre la norma in questione è stata la L. 356/1992. L'obiettivo era quello di rafforzare l'attività investigativa, in relazione al fenomeno mafioso, poiché mancava una sanzione nei confronti di coloro che, chiamati dal PM, violavano i doveri di verità e completezza delle dichiarazioni rese. La ratio dell'art. 371 bis c.p. è quella di garantire la genuinità delle dichiarazioni.
Elementi del reato
Il reato che si configura -ex art. 371 bis c.p.- è proprio, poiché può essere commesso solo da coloro i quali sono chiamati a rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria. Il dolo è generico, poiché la condotta penalmente rilevante, si sostanzia nel fornire volontariamente false informazioni, ossia raccontare fatti sui quali si indaga, in maniera diversa dalla realtà storica.
Ai sensi dell'art. 372 c.p. al pari del testimone nel processo penale, la persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti al PM - in fase procedimentale - ha l'obbligo di dire la verità.
Falsa testimonianza e false informazioni al pm e al difensore, differenze
Operando un confronto tra gli artt. 371 bis e 371 ter e la falsa testimonianza, art.372 c.p., emergono sostanziali differenze.
Nel caso degli artt. 371 ter e 372 c.p., a differenza di quanto comporta l'art. 371 bis, non essendo ancora giunti nella fase dibattimentale, si tutela la legalità delle indagini. Si evince, quindi, che la differenza sta nel momento in cui si può verificare la condotta e la diversità delle conseguenze.
Le condotte ex art. 372 c.p. possono rendere difficoltoso l'accertamento della responsabilità dell'imputato in fase dibattimentale. Le condotte riconducibili alle altre due fattispecie, incidendo soprattutto sulla fase delle indagini, possono condizionare l'esito della verifica.
Altra differenza è ravvisata tra l'art. 371 bis e l'art. 372 c.p.
La fattispecie delle false informazioni, incrimina chi "rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa", realizza falsa testimonianza, invece, chi "afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa". Solo nella condotta ex art. 372 cp l'ipotesi di chi "nega il vero" riceve autonoma rilevanza.
In realtà questa differenza va sottolineata e non considerata una sorta di ripetizione, poiché, se non è logicamente possibile affermare il falso senza negare il vero, non si può sostenere il contrario. Si può, infatti, negare il vero senza affermare il falso, e ciò accade quando si chiede all'interlocutore di risolvere il dubbio circa la veridicità di una determinata affermazione.