di Valeria Zeppilli - Chi subisce una lesione che lo porta alla morte, anche a distanza di breve tempo, patisce un danno biologico di natura psichica ogni qual volta abbia percepito in maniera lucida l'approssimarsi dell'esito letale dell'occorso.
L'entità di tale danno, come sancito dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 29759/2017 qui sotto allegata, non dipende dalla durata dell'intervallo tra la lesione e la morte ma a rilevare nella quantificazione è, piuttosto, l'intensità dell'effettiva sofferenza che la vittima ha provato.
Criteri di liquidazione tabellare
Nella liquidazione di tale danno (il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima), se il giudice decide di applicare i criteri tabellari o a punto è tenuto ad adeguarne le risultanze al caso concreto, ovverosia a procedere alla cd. personalizzazione.
Del resto, la Cassazione è ormai univoca nell'affermare che i predetti sistemi liquidatori possono essere utilizzati legittimamente solo in quanto ricondotti al potere di liquidazione equitativa del giudice.
La vicenda
Nel caso di specie, sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ha quindi cassato con rinvio la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Trieste aveva confermato il rigetto della domanda di risarcimento avanzati dagli eredi del defunto, sostenendo la carenza di allegazione e prova in ordine alla condizione di quest'ultimo nell'intervallo tra la manifestazione della malattia e il decesso.
Sulla questione si dovrà ora tornare per una nuova analisi che tenga conto di quanto chiarito dai giudici di legittimità.
Corte di cassazione testo sentenza numero 29759/2017• Foto: 123rf.com