di Lucia Izzo - Non ricorre il reato di istigazione al suicidio a causa dei messaggi inviati al minorenne coinvolto nel Blue Whale Challenge se non si realizza un tentativo di suicidio o quanto meno una lesione grave o gravissima.
Leggi anche: Blue Whale Challenge: il gioco che uccide. Ecco i consigli della polizia
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 57503/2017 (qui sotto allegata), pronunciatasi sul ricorso dell'imputato, indagato per il reato di istigazione al suicidio e adescamento di minori, al quale il Tribunale, con funzione di giudice del riesame, aveva confermato il sequestro probatorio di cellulare e materiale informatico.
L'uomo aveva intrattenuto dei rapporti virtuali con la minore, nell'ambito della partecipazione al tristemente noto gioco del "Blue Whale Challenge" (per approfondimenti: Il contrasto alla Blue Whale challenge). In particolare, l'imputato aveva inviato alla minore un messaggio del seguente tenore: «Manda audio in cui dici che sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni».
Istigazione al suicidio solo se la stessa è accolta o si verifichino lesioni gravi o gravissime
In Cassazione, il ricorso dell'uomo viene dichiarato in gran parte infondato, eccetto la doglianza riguardante la configurazione del reato di cui all'art. 580 c.p.: l'uomo evidenza che la minore non aveva tentato il suicidio e, in ogni caso, si era procurata lesioni non gravi tra l'altro in conseguenza di condotte addebitabili ad altri.
In effetti, confermano i giudici, la norma punisce l'istigazione al suicidio a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima.
L'ambito di tipicità disegnato dal legislatore, spiega il Collegio, esclude, non solo, la rilevanza penale dell'istigazione in quanto tale, contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie (es artt. 266, 302, 414, 414-bis. 415 c.p.), ma, altresì la rilevanza dell'istigazione accolta a cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio oppure, addirittura, di quella seguita dall'esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, tuttavia, solo delle lesioni lievi o lievissime.
Per gli Ermellini, "la soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima".
Il Tribunale, conclude la Cassazione, ha errato nel ritenere sussistente il fumus del delitto ipotizzato dal pubblico ministero, posto che il fatto non integra la fattispecie contestata non essendosi verificato quantomeno un tentativo di suicidio con causazione di lesioni gravi o gravissime.
Rimane, tuttavia, intoccato da tale conclusione il provvedimento impugnato di cui l'imputato aveva chiesto l'annullamento: infatti, non colgono nel segno le doglianze sulla condotta di adescamento di minorenni, ex art. 609-undecies c.p., la cui imputazione, pertanto, resta ancora suo carico.
Cass., V sez. pen., sent. n. 57503/2017• Foto: 123rf.com