di Lucia Izzo - Nonostante il lavoratore invalido abbia superato il limite di età lavorativa, il contratto con lui concluso obbliga all'assunzione. Il giudice, pertanto, non potrà riconoscergli solo un risarcimento parametrato all'indennità sostitutiva della reintegrazione in servizio.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 30697/2017 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso di un lavoratore.
La vicenda
Il Tribunale aveva in prime cure, respinto la domanda del lavoratore invalido, avviato obbligatoriamente al lavoro in forza della L. n. 68/1999, volta all'accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e al pagamento delle retribuzioni maturate da tale data fino al giorno dell'effettiva reintegra.
La Corte d'appello chiamata a pronunciarsi sul punto, invece, aveva riformato integralmente il provvedimento impugnato dal lavoratore osservando che, sulla base dei documenti prodotti, il contratto doveva ritenersi effettivamente concluso, con la ricezione da parte della società in data 30/1/2007, della copia della lettera di assunzione sottoscritta dal lavoratore.
Tuttavia, osservava il giudice a quo, dalla pur accertata conclusione del contratto di lavoro non poteva discendere l'accoglimento della richiesta di condanna della società all'assunzione, avendo l'appellante, in data 26/1/2007, compiuto i sessantacinque anni di età.
Ad avviso della Corte territoriale, l'avvenuto superamento del limite dell'età lavorativa poteva determinare a favore dell'appellante il solo riconoscimento di una somma a titolo risarcitorio, che il giudicante aveva liquidato, alla stregua del parametro dell'indennità sostitutiva della reintegrazione in servizio, in euro 17.792,95 corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Cassazione: il contratto di lavoro concluso con l'invalido obbliga alla sua assunzione anche se superati i limiti d'età
In lavoratore, pertanto, ricorre in Cassazione contestando la sentenza
impugnata sotto diversi profili, tra cui violazione e falsa applicazione dell'art. 1372 c.c., contestando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha fatto discendere, dall'accertata conclusione del contratto, non la condanna delle parti all'adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto stesso (e, pertanto, quanto alla datrice di lavoro, all'adempimento dell'obbligazione di accettare le prestazioni lavorative e di pagare la retribuzione), ma una statuizione di condanna di natura risarcitoria.Ancora, secondo il ricorrente, appare contraddittorio che la Corte d'Appello avesse ritenuto perfezionato il contratto di lavoro e, da tale premessa, avesse poi concluso per l'impossibilità di pronunciare una condanna all'adempimento.
Per la Cassazione, in effetti, il ricorso è fondato: la Corte di merito, spiegano gli Ermellini, una volta ritenuto che il contratto si fosse perfezionato, avrebbe dovuto dichiarare la condanna delle parti all'adempimento delle obbligazioni che dal medesimo derivavano e non avrebbe potuto trarre una conseguenza diversa.
In sostanza, il datore di lavoro sarebbe dovuto essere condannato all'accettazione delle prestazioni lavorative e al pagamento della retribuzione (art. 2094 c.c.).
D'altra parte, spiega la Cassazione, il contratto, il quale ha forza di legge fra le parti, può essere sciolto (ex art. 1372, comma 1, c.c.), unicamente in virtù di una reciproca e contraria manifestazione di volontà delle stesse o in relazione al sopravvenire di fatti aventi efficacia risolutoria del rapporto.
Tali rilievi assorbono ogni altra considerazione, dovendosi comunque osservare, secondo il Collegio, l'insufficienza del mero dato anagrafico a determinare il venir meno del diritto alla conservazione del posto di lavoro, in difetto del contestuale possesso dei necessari requisiti di anzianità contributiva. La sentenza va dunque cassata con rinvio.
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