di Marina Crisafi - Va ammesso al patrocinio a spese dello Stato anche lo straniero che non è in possesso del permesso di soggiorno ma abbia avviato apposito procedimento per il rilascio. È quanto stabilito dalla Cassazione (con la sentenza n. 164/2018 depositata il 5 gennaio scorso e sotto allegata), pronunciandosi sul caso di un minore di cittadinanza nigeriana cui era stata revocata l'ammissione al gratuito patrocinio in quanto non regolarmente soggiornante sul territorio nazionale.
La vicenda
Per il tribunale, l'art. 119 del Dpr n. 115/2002, "nell'assicurare il trattamento previsto per il cittadino italiano allo straniero regolarmente soggiornante al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare, non contempla il beneficio, gravante sull'intera collettività, in favore di persone che non hanno titolo per restare in Italia".
Il tribunale per i minorenni confermava il provvedimento di revoca, rilevando peraltro che la madre, richiedente in nome del figlio, nel comunicare le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, aveva "tagliato" il riferimento al periodo di vigenza temporale dell'obbligo.
La vicenda giungeva dunque innanzi al Palazzaccio.
Cassazione: gratuito patrocinio esteso allo straniero che ha solo richiesto il permesso di soggiorno
Per la Suprema Corte, il ricorso, sul punto, è fondato. Poiché il patrocinio a spese dello Stato
rappresenta una implicazione necessaria del diritto alla difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), affermano gli Ermellini, "il concetto di straniero rgolarmente soggiornante deve essere interpretato in senso estensivo, comprendendovi anche lo straniero che abbia in corso un procedimento (amministrativo o) giurisdizionale dal quale possa derivare il rilascio del permesso di soggiorno".Del resto, come già chiarito in precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 24378/2011), la posizione dello straniero diviene irregolare solo con l'espulsione, peraltro, impugnabile con il riconoscimento eccezionale del diritto al patrocinio a spese dello Stato.
Cassazione, sentenza n. 164/2018