L'interessato chiede il riconoscimento di questo status; il Ministero insiste invece per il rigetto del ricorso, vista la mancanza di requisiti.
Durante l'istruttoria della causa civile viene confermata la dinamica dei fatti e la c.t.u. medico legale comprova che l'invalidità riportata dal militare è di tipo macropermanente.
Il Tribunale accoglie la domanda.
Vediamo perchè.
Militare: status di equiparato alle vittime del dovere
La prima questione, riguardante la giurisdizione del giudice, viene risolta immediatamente con la conferma della giurisdizione del giudice ordinario anziché di quello amministrativo.
Si verte infatti in tema di diritto soggettivo e non di interesse legittimo e l'orientamento è ormai consolidato in giurisprudenza.
Anche il secondo aspetto attinente al riconoscimento in capo al militare danneggiato dello status di "equiparato alle vittime del dovere", con conseguente diritto dei familiari superstiti all'erogazione dei benefici previsti dalla norma, viene risolto positivamente.
Gli "equiparati" sono soggetti che hanno contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.
E' richiesto che il soggetto sia destinato ad una missione da parte dei superiori e che sia esposto, per le particolari condizioni ambientali e operative della missione, ad un rischio aggravato e maggiore rispetto a quello ordinario insito nel servizio.
Tra le missioni rilevanti ai fini dello status rientrano anche i compiti assegnati dal superiore durante un'ordinaria attività di addestramento militare, mentre le "particolari condizioni ambientali o operative" possono anche consistere in un'esercitazione programmata, sia per l'ambiente in cui viene svolta sia per le specifiche modalità organizzative adottate.
Nel caso specifico, si era trattato di un militare che, svariati anni fa durante il servizio di leva e in occasione di una prova d'assalto effettuata con armi e bombe, restava gravemente ferito all'occhio sinistro.
Nella circostanza si era concretizzato in effetti un rischio ben maggiore per il militare, nascente dalla difficoltà dell'esercitazione e dall'utilizzo di armi e munizioni vere, oltre al fatto che nell'esercitazione venivano coinvolte persone prive di addestramento specifico ed, infine, dalla particolare asperità del terreno.
In conclusione
Nel processo sinteticamente commentato rimane definitivamente appurato:
a) il severo grado di invalidità;
b) l'attività comandata, rientrante nella nozione di "missione di qualunque natura";
c) la particolare condizione ambientale ed operativa.
L'accertamento del tribunale è ovviamente basato sull'esito dell'istruttoria, ma si tiene conto anche dell'orientamento della Suprema Corte dato dalla sentenza n. 23396/2016, con la quale si precisa che "al militare di leva rimasto ferito con esiti permanenti, nel corso di un'azione di addestramento notturna, svolta ccidentalmente -per errore commesso da un altro militare- con armi cariche, competono i benefici ex art. 1 co. 563 e 564 L. 266/05, la cui attribuzione presuppone che i compiti, rientranti nelle normali attività di istituto, siano svolti in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura e si siano poi complicati per il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari (esempio: l'uso di una bomba a mano carica, anziché inerte), ulteriori rispetto al rischio tipico connesso all'ambiente militare".
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