di Lucia Izzo - Il reato di turbativa violenta del possesso di cose immobili, previsto dall'art. 640 del codice penale, è commesso anche laddove il bene sia in compossesso, non essendo necessaria la disponibilità dell'immobile in capo alla sola persona offesa.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, nella sentenza n. 610/2018 (qui sotto allegata).
La vicenda
Il G.I.P aveva disposto un provvedimento di sequestro preventivo relativamente a un alloggio popolare occupato dall'indagata e dal proprio convivente: ciò in quanto la donna aveva impedito a quest'ultimo l'accesso all'abitazione, sostituendo la serratura della porta d'ingresso, e lo aveva aggredito con lancio di oggetti, ingiurie e minacce, al fine di indurlo ad allontanarsi dall'immobile e non farvi rientro.
Fatti che avrebbero integrato, tra l'altro, il delitto di turbativa violenta del possesso di cose immobili e, pertanto, giustificato il sequestro stante il concreto pericolo che la libera disponibilità dell'alloggio in capo all'indagata potesse portare a il reato a conseguenze ulteriori o comunque alla reiterazione dello stesso.
Ciononostante, il Tribunale del riesame aveva revocato il sequestro ritenendo, tra l'altro, che fosse pacifico il compossesso esercitato sull'immobile da entrambi i conviventi e, quindi, anche dall'indagata. Di contrario avviso il P.M., secondo cui non sarebbe bastato a escludere il reato la situazione di compossesso della persona offesa.
Turbativa violenta anche in caso di compossesso dell'immobile
Gli Ermellini, accogliendo l'impugnazione, rilevano come l'ordinanza in esame sia inficiata da plurime violazioni di legge, oltre che da motivazione apparente. In particolare, i giudici di legittimità rammentano che il reato di cui all'art. 634 c.p. consiste nel fatto di turbare, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso.
In particolare, sbaglia l'ordinanza impugnata a ritenere che, avendo anche l'indagata il compossesso dell'immobile, non potrebbe configurarsi il reato ascrittole provvisoriamente. Infatti, con il termine "possesso", l'art. 634 c.p. fa riferimento a qualsiasi situazione di potere di fatto esercitato da un soggetto su una res in modo corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale (ex art. 1140 c.c.), nonché a situazioni inquadrate in ambito civile nella detenzione qualificata di un bene.
Pertanto, spiega la Cassazione, la commissione del reato previsto dal menzionato articolo non necessariamente postula una situazione di possesso esclusivo in capo alla persona offesa, ma può ravvisarsi anche nel caso in cui ognuno dei compossessori turbi il compossesso esercitato sul medesimo bene da altri.
La norma, difatti, mira a tutelare il pacifico godimento esercitato da un soggetto sul bene, senza che rilevi se tale situazione di vantaggio si estrinsechi in modo esclusivo o congiuntamente ad altri, non ravvisandosi alcuna ragione per distinguere la posizione del possessore esclusivo da quella del compossessore, entrambi titolari di una medesima situazione di vantaggio sulla res.
Per di più, l'art. 634 c.p. dispone che "chiunque" può essere autore del reato, con ciò dunque ammettendo che il compossessore di un bene può commettere il reato de quo.
Infine, ha sbagliato il Tribunale anche nell'aver escluso un concreto e attuale pericolo di deterioramento del bene immobile o dei mobili stante il perdurante godimento del bene da parte dell'indagata: oggetto della tutela apprestata dall'art. 634 c.p. è il godimento dell'immobile da parte della persona offesa, sicché è rispetto a tale interesse tutelato che andava parametrata la sussistenza del periculum in mora. L'ordinanza impugnata è, pertanto, annullata con rinvio.
Cassazione, sentenza n. 610/2018• Foto: 123rf.com