Buona lettura e un sentito ringraziamento alla Collega.
In sede di separazione, due coniugi vedevano disciplinata la frequentazione della figlia minore con un provvedimento del giudice che lasciava al genitore non affidatario, in questo caso il padre, la più amplia possibilità di frequentare la figlia, potendo vederla ogniqualvolta egli lo desiderasse. Questa previsione, che nelle intenzioni del Tribunale doveva probabilmente essere mirante a lasciare che padre e figlia si frequentassero senza limitazione ed in modo libero e pieno, aveva però ingenerato grande confusione nella coppia, ove permaneva alto il tasso di conflittualità.
L'uomo infatti, di lì a breve, aveva convenuto in giudizio la donna, contestandole di non avergli permesso di frequentare la bambina, come da previsione del provvedimento del tribunale di Roma, in alcune occasioni, in particolare nelle vacanze estive e pasquali, e ne aveva chiesto la condanna ed il risarcimento del danno ex art 388 co 2 c.p. La donna però, condannata nei primi due gradi di giudizio per il reato di violazione dolosa di provvedimento del giudice, riusciva a dimostrare di non aver mai volontariamente impedito la frequentazione fra padre e figlia, ma che il provvedimento del giudice di prime cure la costringeva ad una condotta realisticamente impossibile da mantenere.
Di fatto, detto provvedimento aveva portato l'ex marito alla controversa conclusione che la figlia poteva essere a sua disposizione per ventiquattro ore al giorno. La vaghezza e la genericità del provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma, avevano, se possibile, ancora più inasprito i rapporti fra i due genitori, a scapito della minore, soggetto fragile e conteso, senza alcuna possibilità di difesa. Ma la Cassazione, accogliendo le difese della donna, ha ritenuto non sussistente il reato in questione, ritenendo che lo stesso si configuri "solo quando da parte del coniuge affidatario ci sia una precisa volontà di non far vedere il figlio all'altra parte", in questo caso non risultata ad evidenza dalle condotte esaminate. Per il reato ex art. 388 c.p. deve sussistere, quindi, un vero e proprio intento di eludere l'obbligo imposto dal giudice. La Corte ha evidenziato come, invece, fosse da censurare il provvedimento del tribunale, e non la condotta della donna, indicando sostanzialmente che il ragionamento probatorio compiuto dalla Corte di merito fosse viziato nella tenuta e che la sentenza dovesse quindi essere annullata con rinvio per un nuovo esame. La Corte di merito, pertanto, motivando in maniera non sbrigativa, deve ora chiarire i punti indicati e verificare se e in che limiti il comportamento dell'imputata sia sussumibile nell'ambito della fattispecie di reato contestata. Il provvedimento del Presidente del Tribunale nel caso di specie, definito apoditticamente dalla Suprema Corte come "vuoto e generico" aveva avuto come conseguenza diretta che "l'imputata, per non rischiare di commettere suo malgrado il reato ascrittole, avrebbe dovuto essere a disposizione dell'arbitrio dell'ex marito, ogni momento ed ogni giorno, senza potersi mai allontanare da casa, neppure per esigenze contingenti della figlia, come un ricovero in ospedale."
Francesca Zadnik
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