di Marina Crisafi - Nessuna giustificazione per il padre povero e disoccupato che si allaccia abusivamente alla rete pubblica per procurarsi la corrente a casa. Per i bisogni primari ci si può rivolgere agli enti di assistenza sociale. Lo ha sancito la quinta sezione penale della Cassazione con la recente sentenza n. 994/2018 (sotto allegata), confermando la condanna nei confronti di un uomo in precarie condizioni economiche, disoccupato e padre di numerosi figli.
La vicenda
L'uomo ricorreva avverso la sentenza di condanna che ne aveva dichiarato la responsabilità per furto aggravato per essersi allacciato abusivamente alla rete elettrica pubblica, onde garantirsi l'erogazione di energia elettrica presso l'appartamento ove dimorava. Nel ricorso, l'imputato lamentava la violazione dell'art. 54 cod. pen., atteso che lo stesso aveva immediatamente addotto ai Carabinieri ed al personale dell'ENEL (non negando le proprie responsabilità ed anzi collaborando fattivamente con gli inquirenti) di avere agito per stato di necessità, a causa delle gravi condizioni di difficoltà economica derivanti dal suo stato di disoccupato e padre di numerosi figli.
Energia elettrica: il furto resta reato, nessuna giustificazione
Per gli Ermellini però il ricorso deve reputarsi inammissibile, per manifesta infondatezza e genericità delle doglianze proposte.
Inoltre, per costante giurisprudenza, come correttamente rilevato dai giudici di merito, "una situazione di difficoltà economica non può essere invocata ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione ex art. 54 cod. pen., giacché in tal caso è pur sempre possibile vedersi garantiti i bisogni primari da parte degli enti preposti all'assistenza sociale.
Nella fattispecie, l'uomo non aveva neppure allegato di essersi inutilmente rivolto a tali istituti. Inoltre, il fatto, commesso a breve distanza di tempo da ulteriori delitti contro il patrimonio e seguito da nuovo furto in data successiva, denotava una più accentuata colpevolezza ed una maggiore pericolosità del ricorrente.
Per cui la sentenza è confermata e l'uomo è condannato anche al pagamento di 2mila euro da versare alla Cassa delle Ammende.
Cassazione, sentenza n. 994/2018
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