di Annamaria Villafrate - Il diritto al nome rappresenta uno dei diritti fondamentali della persona. Il giudice pertanto, nel perseguire l'interesse primario del minore a mantenere il cognome che lo distingue all'interno della comunità in cui è inserito, gode di ampia discrezionalità. Questo è quanto emerge dall'ordinanza n. 17139/2017 della VI sezione della Cassazione (sotto allegata)
La vicenda
La Corte d'appello di Firenze confermava il provvedimento di rigetto della domanda con cui si chiedeva l'attribuzione del cognome paterno al minore, nato dal matrimonio tra un italiano e una cittadina svizzera. Contro il decreto ricorreva il padre, che deduceva la violazione dell'art. 262 c.c.
Cognome: il figlio può rifiutarsi di aggiungere quello del padre
La Cassazione ritiene inammissibile questo motivo di ricorso così argomentando: "Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, i criteri di individuazione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, sicché la scelta (anche officiosa) del giudice è ampiamente discrezionale, con esclusione di qualsiasi automaticità e non può essere condizionata né dal favor per il patronimico né per un prevalente rilievo della prima attribuzione (v. Cass. n. 12640 del 2015, n. 2644 del 2011, n. 12670 e 23635 del 2009)."
La Cassazione precisa infatti che l'obiettivo dell'art. 262 c.c. non è di parificare la posizione del figlio naturale a quello nato all'interno del matrimonio, quanto di garantire al minore la possibilità di conservare il suo cognome originario, se esso è divenuto negli anni un elemento distintivo della sua personalità all'interno del contesto sociale in cui vive.
Il giudice quindi ha come obiettivo primario quello di individuare l'interesse al cognome del minore, tenendo conto dell'ambiente in cui è nato e cresciuto fino a quando il padre lo ha riconosciuto.
Secondo la Corte, il giudice di secondo grado ha correttamente rigettato le richieste del padre e accolto la volontà del minore, che si è espresso nel senso: "di non volere né sostituire, né aggiungere il cognome del padre al proprio" a ragione del fatto che "il cognome è personale e che accompagna per tutta la vita. Ho vissuto per 12 anni con questo cognome e non voglio averne altri." Infine perfettamente in linea con quanto ribadito la Corte di Firenze, imporre l'aggiunta del cognome paterno a quello materno creerebbe nel minore un forte turbamento, che non farebbe altro che peggiorare il distacco dal padre.
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cassazione civile ordinanza n. 17139 - 2017• Foto: 123rf.com