di Lucia Izzo - Anche una sola telefonata può essere idonea a far scattare il reato di molestie: questo, infatti, non ha necessariamente natura abituale e può essere integrato anche da una sola azione, purché particolarmente sintomatica dei requisiti della fattispecie tipizzata
Così la Corte di Cassazione, prima sezione penale, si è pronunciata nella sentenza n. 6064/2018 (qui sotto allegata) sul ricorso dell'imputato per il reato di molestie.
La vicenda
Questi era stato condannato dai giudici di merito per aver, per petulanza o biasimevole motivo, effettuato
chiamate telefoniche mute o caratterizzate da riferimenti a persone conosciute dal denunciante e avere inviato sms diretti all'utenza intestata alla parte offesa.
La difesa sostiene che, sotto un profilo oggettivo, non sarebbe stato integrato il reato contestato poiché si era trattato di sole tre telefonate, dunque sarebbe difettato il requisito della petulanza e/o altro biasimevole motivo.
In sostanza, per l'imputato deve escludersi che l'effettuazione di due sole telefonate mute possa costituire espressione di petulanza intesa quale atteggiamento di insistenza eccessiva e perciò fastidiosa, di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell'altrui sfera.
Inoltre, sarebbe mancato altresì il requisito dell'elemento soggettivo del reato avendo il ricorrente agito perché preoccupato per la situazione in cui era coinvolta la propria amica, moglie del denunciante, autore di violenze in danno della moglie come emerso anche da sentenza di condanna dello stesso.
Molestia: anche una sola azione è idonea a integrare il reato
Secondo gli Ermellini, la difesa dimentica che le condotte moleste, secondo quanto esposto nella sentenza
contestata, erano consistite anche in sms provenienti dall'utenza in uso all'imputato, alcuni trascritti in atti e fotocopiati e che il contenuto dei messaggi alludeva a una relazione sentimentale della ex moglie con l'imputato o con altri uomini, argomento sgradito e trattato al solo fine di infastidire e dileggiare il destinatario.Correttamente, nella condotta siffatta, sono stati riconosciuti i tratti caratteristici della petulanza per l'insistente intromissione da parte dell'imputato nella sfera privata del denunciante, a nulla rilevando le pretese preoccupazioni per la situazione della moglie dello stesso, esposta a imprecisate violenze, che non avrebbero potuto essere impedite o rimediate mediante i comportamenti intrusivi e molesti oggetto di imputazione.
D'altronde, rammenta la Cassazione, il reato di molestia o disturbo alle persone, secondo consolidato insegnamento giurisprudenziale, non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere realizzato anche con una sola azione, purché particolarmente sintomatica dei requisiti della fattispecie tipizzata.
L'atto, spiega il Collegio, per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev'essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri.
Nel caso di specie, conclude la Corte, non è però configurabile l'ipotesi del reato continuato, perché la pluralità di azioni disturbanti integra il carattere tipico dell'abitualità, il che comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l'eliminazione dell'aumento di pena stabilito a tale titolo.
Tali rilievi sull'abitualità della condotta giustificano anche l'esclusione della possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità, prevista dall'art. 131 bis c.p. il cui testo esclude espressamente dal suo ambito di applicazione il comportamento abituale.
Cassazione, sentenza n. 6064/2018