di Marina Crisafi - Il saluto fascista non è reato se è commemorativo e non violento. Anzi, in tal senso, va inquadrato tra le libertà di espressione e di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite.
Lo ha deciso Cassazione (sentenza n. 8108/2018 depositata ieri e sotto allegata) assolvendo definitivamente due manifestanti, che durante una commemorazione organizzata a Milano nel 2014 da appartenenti al partito "Fratelli d'Italia", avevano alzato il braccio destro rispondendo alla "chiamata del presente" ed effettuando il "saluto romano" (oltre a esporre striscione inneggiante ai camerati caduti e numerose bandiere con croci celtiche).
La vicenda
Per il gesto i due erano stati imputati per concorso in manifestazione fascista" ma il Gup di Milano prima e la Corte d'Appello meneghina poi li assolvevano per insussistenza del fatto.
Il Pg allora presentava ricorso per Cassazione, lamentando errata interpretazione e applicazione della legge penale. Secondo il pm era chiara la "precisa volontà dei - due - di pubblicizzare l'ideologia in questione con effetto oltremodo diffusivo in pubblico" e doveva escludersi che all'indiscusso intento commemorativo della manifestazione non fosse affiancato il fine del proselitisrno. Richiamava, quindi, in tal senso, la copiosa giurisprudenza di legittimità secondo cui condotte come il saluto romano durante una manifestazione integrano il reato di cui all'art. 5 della I. n. 645 del 1952 (e ss.mm.ii.) "per la connotazione di pubblicità che qualifica tali espressioni esteriori, evocative del disciolto partito fascista, contrassegnandone l'idoneità lesiva per l'ordinamento democratico ed i valori ad esso sottesi" (cfr., tra le altre, Cass n. 37577/2014).
Saluto romano: può essere esplicazione della libertà di espressione costituzionalmente garantita
Per gli Ermellini tuttavia il ricorso è inammissibile e i giudici di merito "sono pervenuti - scrivono da piazza Cavour - all'assoluzione degli imputati attraverso logico e puntuale percorso argomentativo".
Nello specifico, hanno premesso che alla luce degli interventi della Consulta (sentenze nn. 74 del 06/12/1958 e 15 del 27/02/1973), la fattispecie penale in contestazione non colpisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle "che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all'ambiente in cui sono compiute" e tra queste non solo "gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione" ma anche manifestazioni, espressioni, gesti, comportamenti, quali "possibili e concreti antecedenti causali di ciò che resta costituzionalmente inibito" e quindi "idonei a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste".
Per cui, secondo i giudicanti, ne deriva che la fattispecie si configura come reato di pericolo concreto e "che le manifestazioni del pensiero fascista e dell'ideologia fascista in sé non sono vietate, attese la libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite, ma lo sono solo se hanno i connotati di cui sopra e pertanto pongono in pericolo la tenuta dell'ordine democratico e dei valori allo stesso sottesi".
Nel caso di specie, invece, pur essendo indubbio che i due avevano preso parte a una manifestazione pubblica compiendo gesti usuali del partito fascista, le loro condotte non integravano il reato de quo, data la natura "puramente commemorativa della manifestazione e del corteo, organizzati in onore di tre defunti, vittime di una violenta lotta politica che ha attraversato diverse fasi storiche".
Cassazione, sentenza n. 8108/2018• Foto: 123rf.com