di Lucia Izzo - La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 8770/2018 si è pronunciata sul contrasto giurisprudenziale riguardante il perimetro e i profili intertemporali di applicazione della legge, sorto a seguito dell'entrata in vigore della legge 8 marzo 2017 n. 24 (c.d. Gelli-Bianco) recante "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie".
Il provvedimento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 64 del 17 marzo 2017, ed entrato in vigore il 1° aprile 2017, è intervenuto circa quattro anni dopo l'approvazione della legge Balduzzi (n. 189/2012), per tentare di superare proprio le criticità che erano emerse dalla concreta applicazione giurisprudenziale della legge (per approfondimenti: Legge Gelli-Bianco: un quadro di sintesi della riforma della responsabilità medica).
La nuova legge nell'abrogare la previgente disciplina, ha rimodulato i limiti della colpa medica a fronte del rispetto delle linee-guida dettate in materia, con conseguenze in punto di individuazione della legge più favorevole.
In particolare, dubbi erano sorti in ordine all'introdotto art. 590-sexies c.p. il quale esclude la punibilità del sanitario, qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, laddove siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Con la sua decisione, la Cassazione ha offerto una risposta costituzionalmente orientata e conforme al dettato normativo relativamente al quesito sottoposto alla sua attenzione, ovverosia "quale sia, in tema di responsabilità colposa dell'esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l'ambito di esclusione della punibilità previsto dall'art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall'art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24".
Sul punto, si evidenzia come non sia stata accolta la richiesta del Procuratore generale di sollevare la questione di legittimità costituzionale della menzionata norma, per contrasto con i principi posti negli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 32, 33, 101, 102 e 111 della Costituzione.
Legge Gelli-Bianco: le linee guida
In primis, le Sezioni Unite si soffermano sul tema della natura, finalità e cogenza delle linee-guida (le quali hanno assunto rilevanza centrale nel costrutto della intera impalcatura della legge).
Attraverso tali precostituite raccomandazioni, spiega la Sentenza, si hanno parametri tendenzialmente circoscritti per sperimentare l'osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Tuttavia, questi non rappresentano veri e propri precetti cautelari, capaci di generare colpa specifica allo stato attuale della normativa, in caso di violazione rimproverabile,stante la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto.
Così come è da escludere, secondo il Collegio, che il nuovo sistema introdotto, pur sembrando formalmente sollecitare alla esatta osservanza delle linee-guida, anche al fine di ottenere il beneficio previsto in campo penale, possa ritenersi agganciato ad automatismi.
In sostanza, le linee guida non rappresentano uno "scudo" contro ogni ipotesi di responsabilità, essendo la loro efficacia e forza precettiva comunque dipendenti dalla dimostrata "adeguatezza" alle specificità del caso concreto, che è anche l'apprezzamento che resta, per il sanitario, il mezzo attraverso il quale recuperare l'autonomia nell'espletare il proprio talento professionale e, per la collettività, quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici.
Si tratta, dunque, non di norme regolamentari che specificano quelle ordinarie senza potervi derogare, ma regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all'obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente e implicanti, in ipotesi contraria, il dovere, da parte di tutta la catena degli operatori sanitari concretamente implicati, di discostarsene.
Responsabilità medico-chirurgica anche per colpa lieve
Quanto all'estensione della causa di non punibilità introdotta dal nuovo articolo 590-sexies c.p., due le sentenze che si sono contese il campo, generando il menzionato contrasto interpretativo, ovverosia la sentenza c.d. De Luca-Tarabori (Sez. 4, n. 28187 del 20/04/2017) e la sentenza c.d. Cavazza (Sez. 4, n. 50078 del 19/10/2017).
Le Sezioni Unite ritengono che in ciascuna delle due contrastanti sentenze in esame siano espresse molteplici osservazioni condivisibili, ma sia necessaria una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione.
Per il Supremo Consesso risulta "esplicita la previsione della causa di non punibilità, innegabile e dogmaticamente ammissibile, non essendovi ragione per escludere apoditticamente che il legislatore, nell'ottica di porre un freno alla c.d. medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessità di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date".
Infatti, la causa di non punibilità opera laddove il sanitario abbia cagionato per colpa da imperizia l'evento lesivo e mortale, pur essendosi attenuto alle linee guida adeguate al caso concreto. Le fasi della individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida adeguate sono, infatti, articolate al punto che la mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso giustifica ed è compatibile tanto con l'affermazione che le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, quanto con la contestuale rilevazione di un errore parziale che, nonostante ciò, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva per la realizzazione di uno degli eventi descritti dagli artt. 589 e/o 590 c.p. (morte o lesioni colpose).
Ancora, sottolinea la Cassazione, la ricerca ermeneutica conduce a ritenere che la norma in esame continui a sottendere la nozione di "colpa lieve", in linea con quella che l'ha preceduta e con la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni.
Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto (diversamente da entrambe le sentenze che hanno dato luogo al contrasto che hanno scartato tale conclusione) sempre che questa sia l'espressione di una ratio compatibile con l'esegesi letterale e sistematica del comando espresso.
Pertanto, le Sezioni Unite ritengono di dover enunciare i seguenti principi di diritto:
"L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza;
b) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
d) se l'evento si è verificato per colpa "grave" da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico".
Cass., Sezioni Unite, 8770/2018• Foto: 123rf.com