di Gabriella Lax - Per l'Unione europea gravidanza e maternità non salvano la lavoratrice dal licenziamento collettivo.
Secondo la sentenza della Corte di giustizia europea, nella causa C 103/2016 (sotto allegata) una legge nazionale che consente il licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario; fermo restando che ciascuno Stato membro è libero di stabilire forme di tutele più forti per le dipendenti madri e gestanti.
Unione europea, lecito licenziare lavoratrici in gravidanza
Il caso in esame è quello di una lavoratrice spagnola in stato di gravidanza, licenziata nell'ambito di una procedura di riduzione collettiva del personale di un'impresa bancaria. Tutto ok per la normativa spagnola, che prevede il licenziamento delle lavoratrici gestanti salvo il caso in cui il recesso sia dovuto a motivi non riguardanti la gravidanza o l'esercizio del diritto ai permessi e all'aspettativa conseguenti alla maternità.
Era stato il giudice locale a sollevare la questione di un possibile contrasto con le norme della direttiva 92/85 che puntualizza le misure per promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
Corte Ue: licenziamento gestante non vietato
La Corte di giustizia ha rilevato l'infondatezza del dubbio: infatti il divieto di licenziamento di cui tratta la direttiva ha l'obiettivo di prevenire gli effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, che può generare un rischio di licenziamento per motivi connessi al loro stato. Per la prevenzione di questo rischio ci sono sanzioni contro le decisioni che abbiano come presupposto lo stato personale della lavoratrice. In generale, la direttiva non vieta il licenziamento
durante il periodo dall'inizio della gravidanza fino al termine del congedo di maternità, se l'atto sia fondato su motivi non connessi allo stato di gravidanza della lavoratrice. In questo caso si può trattare di motivi tecnici, economici o riguardanti produzione o organizzazione dell'impresa, e vanno messi per iscritto dal datore di lavoro. Lo stesso dovrà indicare espressamene alla lavoratrice gestante i criteri oggettivi adottati per designare il personale da licenziare.Per quanto riguarda le sanzioni nei casi di specie, secondo la Corte, la tutela risarcitoria in favore delle donne gestanti puerpere e in allattamento va di pari passo all'espresso divieto di recesso per motivi fondati sulla condizione personale della lavoratrice.
Cosa succede in casi come questo nel nostro Paese? In Italia anche nei casi di procedura collettiva, non sarà possibile il licenziamento della lavoratrice madre, salvo il caso di chiusura dell'intera azienda.
Corte Ue, sentenza n. 103-16