Con Sentenza n. 425/2005 la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 comma 7 legge n.184/1983, così come sostituito dall'art. 177 comma 2 d. lgs. 196/2003, nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l'adottato all'accesso delle informazioni sulle proprie origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non essere nominata da parte della madre biologica. La questione, sollevata dal Tribunale per i minorenni di Firenze, scaturisce dalla vicenda di un trentenne, adottato all'età di pochi mesi che, spinto dal desiderio di conoscere le proprie origini, chiedeva di poter accedere alle informazioni circa l'identità della madre biologica la quale, però, al momento del parto, aveva dichiarato l'intenzione di non essere nominata. Ad avviso del rimettente la negazione a priori dell'autorizzazione all'accesso alle notizie sulla propria famiglia biologica per il solo fatto che il genitore abbia dichiarato di non voler essere nominato costituirebbe una violazione del diritto di ricerca delle proprie origini e dunque del diritto all'identità personale dell'adottato. Nella motivazione delle sentenza si legge: "la norma impugnata mira a tutelare la gestante che - in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico e sociale - abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata e di mantenere al contempo l'anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita: e in tal modo intende, da un lato, assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, sia per la madre che per il figlio e, dall'altro, distogliere la donna da decisioni irreparabili per quest'ultimo ben più gravi. L'esigenza di perseguire efficacemente questa duplice finalità - continua la Corte - spiega perché la norma non preveda per la tutela dell'anonimato della madre nessun tipo di limitazione, neanche temporale".
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