La vicenda
Tizio, Caio e Sempronio citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, Mevia e la società assicuratrice di quest'ultima al fine di accertare la responsabilità della convenuta relativamente ad un sinistro stradale e, conseguentemente, ottenere il risarcimento del danno.
Nello specifico, Tizio e Caio agivano rispettivamente quali conducente e trasportato di un motociclo mentre, Sempronio, quale proprietario del mezzo. Siffatta precisazione permette di cogliere come i primi due attori agivano per ottenere il risarcimento delle lesioni riportate ed il terzo, Sempronio, per i danni subiti al veicolo a seguito del sinistro verificatosi con la vettura di proprietà della convenuta e guidata dalla stessa.
Il giudizio di primo grado si concludeva con l'accoglimento delle domande attoree, riconoscendo il danno biologico, morale e le spese mediche, nonché il danno patrimoniale per il proprietario del ciclomotore.
L'esclusiva responsabilità di Mevia era stata desunta dalla dichiarazione resa da quest'ultima alla propria compagnia assicuratrice e da una testimonianza. Da suddetta dichiarazione emergeva la disattenzione della conducente che, ferma all'incrocio, si era rivolta verso i figli seduti al sedile posteriore e, scivolandole il piede dalla frizione, la vettura sobbalzava in avanti, urtando così il motociclo in transito; dalla testimonianza si desumeva altresì la velocità moderata tenuta dallo stesso ciclomotore.
Avverso la sentenza del Tribunale, il conducente e il trasportato del motociclo proponevano appello principale mentre la compagnia assicuratrice proponeva appello incidentale.
La Corte d'Appello di Catania, previo esperimento di una nuova consulenza tecnica, accoglieva parzialmente gli appelli, valorizzando le risultanze del verbale di accertamento redatto dai vigili urbani, quest'ultimo trascurato dal giudice di prime cure.
Il verbale metteva in luce la mancanza assoluta di danni sull'autovettura e altresì che il motociclo, dopo l'urto, aveva continuato la marcia scontrandosi dapprima con un obelisco situato nella parte opposta della piazza e, successivamente, con un'autovettura parcheggiata di fronte. I danni riportati e le distanze intercorrenti tra i veicoli coinvolti lasciavano così desumere come il conducente del ciclomotore non avesse tenuto una velocità contenuta e adeguata ma, al contrario, sicuramente superiore ai limiti consentiti.
Siffatte evidenze inducevano così a ritenere che il mero sobbalzo in avanti causato dall'urto non avrebbe potuto comportare tali conseguenze e che dunque la testimonianza, assunta nel giudizio di primo grado, dovesse considerarsi non attendibile.
La Corte di Appello accoglieva così il ricorso principale, escludendo l'incidenza del mancato uso del casco ai fini delle lesioni che per il giudice di primo grado avevano comportato una riduzione del risarcimento ma, in accoglimento del ricorso incidentale, aveva ridotto lo stesso risarcimento della metà, sull'assunto che il sobbalzo in avanti dell'autovettura e l'eccessiva velocità del motociclo avessero avuto una pari efficacia causale.
Avverso tale sentenza il conducente del motociclo ricorre in Cassazione, adducendo quattro differenti motivi.
Concentrandosi sul motivo di maggior interesse per la presente trattazione, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 c.c. e 116 c.p.c. ai sensi dell'art. 360, co 1, n°4 c.p.c.
Si contesta l'operato del giudice di appello nell'aver fondato il proprio giudizio unicamente sul verbale di accertamento dei vigili urbani, avendo errato nel ritenerlo quale prova piena fino a querela di falso, e risultando così basato su argomentazioni arbitrarie, in alcun modo ancorate al dato oggettivo di prove certe ed indicazioni tecniche. Si evidenzia come i vigili urbani non avessero assistito all'incidente ma ne avessero ricostruito la dinamica attraverso la posizione di quiete assunta dai mezzi coinvolti, dovendosi così escludere l'efficacia di piena prova rispetto a fatti che non è possibile accertare con modalità sufficientemente obiettive.
Il valore di prova del verbale di accertamento sinistro stradale
La Cassazione, con l'ordinanza in commento, dichiara il motivo inammissibile, confermando l'orientamento tradizionale e costante della giurisprudenza di legittimità.
Il verbale di accertamento redatto dai vigili urbani ha efficacia di piena prova con riferimento a fatti visivamente accertati dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente.
Una tale efficacia probatoria è dunque limitata alle sole circostanze attestate dal pubblico ufficiale così come percepite da un punto di vista sensoriale, senza che si rinvenga alcun margine di apprezzamento.
Quanto affermato comporta dunque che il verbale non mantenga una tale efficacia, essendo invece liberamente valutato dal giudice, qualora afferisca apprezzamenti valutativi dei verbalizzanti.
La Corte d'Appello non ha dunque errato nel fondare il proprio giudizio a fronte di quanto emerso dai verbali di accertamento e la censura sollevata dal ricorrente risulta essere estranea alla ratio decidendi.
Il Supremo Consesso rammenta come, in tema di prova, spetti in via esclusiva al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l'attendibilità e scegliere quelle ritenute maggiormente idonee ad attestare la veridicità dei fatti ad esse sottesi. Rientra nel potere di questi assegnare prevalenza ad un mezzo di prova piuttosto che ad un altro, nonché la stessa facoltà di poterne escludere la rilevanza, senza essere tenuto ad esplicitare, per ciascun mezzo istruttorio, le ragioni sottese (ex multis Cass. 2014/13485).
Cassazione, ordinanza n. 2348/2018