di Lucia Izzo - In tema di litisconsorzio necessario, ove l'ordine di integrazione del contraddittorio venga dato dal giudice senza indicare il termine finale per la notificazione dell'atto di integrazione, ma facendosi espresso riferimento ai "termini di legge" e fissandosi la nuova udienza a una data tale da consentire il rispetto del termine per la comparizione, tale termine può ben individuarsi in quello di cui all'art. 163-bis c.p.c., da desumersi in base alla data dell'udienza di rinvio, sempre che non sia inferiore a un mese o superiore a sei mesi rispetto alla data del provvedimento di integrazione, ai sensi dell'art. 307, comma 3, ultimo inciso, del codice di rito.
La vicenda
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 6019/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una donna che aveva appellato la sentenza con cui era stata condannata al risarcimento dei danni provocati a un fabbricato e correlati al crollo di parte dell'edificio di sua proprietà.
La Corte territoriale disponeva, tuttavia, l'integrazione del contraddittorio nei confronti di un erede pretermesso tra i proprietari del fabbricato danneggiato, litisconsorte necessario della vicenda, e indicava i "termini di legge" quale termine entro il quale doveva avvenire la notifica. La Corte, constatato che nessuna delle parti processuali aveva provveduto all'integrazione del contraddittorio, dichiarava inammissibile l'appello.
Termine per integrare il contraddittorio assegnato per relationem
In Cassazione, la signora propone ricorso lamentando che il giudice a quo avesse omesso di fissare un termine certo entro il quale provvedere alla notifica dell'integrazione del contraddittorio, non rispettando dunque la disciplina prevista nell'art. 331, comma 2, c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice debba fissare il termine entro il quale la notificazione deve essere effettuata pena la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione.
Trattandosi di una decadenza processuale che pone limiti ai diritti soggettivi delle parti, secondo la difesa il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi al principio di tassatività delle cause di decadenza dall'impugnazione, non assumendo rilevanza la sussistenza, rispetto all'udienza fissata, di un intervallo di tempo sufficiente a consentire il rispetto del termine di cui all'art. 163-bis c.p.c. posto che il giudice aveva omesso di indicare detto termine di decadenza.
In effetti, chiariscono gli Ermellini, la gravità della sanzione processuale comminata pertanto esigerebbe, in virtù del citato principio generale di tassatività delle cause d'inammissibilità, la puntuale verificazione, agli effetti della relativa irrogazione, dei presupposti richiesti dalla norma, tra i quali essenziale è quello della precisa indicazione da parte del giudice di un termine entro il quale provvedere all'adempimento.
Tale indispensabile elemento non potrebbe essere lasciato all'iniziativa delle parti, né desumersi, per mancanza di alcun richiamo al riguardo, dall'art. 163-bis c.p.c., la cui disciplina è dettata a fini processuali diversi.
Tuttavia, sottolinea la Cassazione, la Corte d'Appello ha richiamato "i termini di legge" per effettuare la notifica, indicando alle parti la nuova udienza di trattazione, ritenendo, quindi, che il termine assegnato alle parti coincidesse con quello di legge per la notifica dell'atto di citazione, prendendo come dies a quo la data di rinvio della prima udienza di trattazione fissata al fine di consentire alle parti di integrare il contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario, da citare nel rispetto dei termini processuali previsti a sua difesa.
Pertanto, la scelta della Corte d'appello di far coincidere il termine perentorio per integrare il contraddittorio con il termine di legge per compiere la notifica dell'atto di citazione per la successiva udienza, non ha determinato nessuna incertezza su giorno, mese e anno entro il quale esercitare detto onere processuale, essendo tale indicazione idonea a orientare le parti assistite da una difesa tecnica, quest'ultima certamente in grado di inquadrare le norme di sistema cui si riferiva l'ordinanza di rinvio.
Infatti la parte processuale interessata a effettuare l'integrazione del contraddittorio avrebbe potuto agevolmente individuare quale fosse il termine entro il quale procedere alla vocatio in ius della parte pretermessa, calcolando a ritroso il termine rispetto alla data di udienza fissata dalla Corte.
Quindi il caso in esame, conclude la Corte, non è per nulla equiparabile a quello in cui non sia stato assegnato, neppure per relationem, alcun termine per la notifica, in quanto nessun termine perentorio è stato lasciato nella disponibilità delle parti. La Corte di merito, infatti, ha assegnato un termine ricadente nei limiti segnati dalla legge e perentorio. Il ricorso va dunque rigettato.
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