di Valeria Zeppilli - Il dipendente che molesta le colleghe di lavoro può essere legittimamente licenziato dal datore di lavoro anche se quest'ultimo, nella contestazione che precede il provvedimento disciplinare, non ha indicato i nominativi di tutte le colleghe molestate.
Infatti la Corte di cassazione, nella sentenza numero 6889/2018 qui sotto allegata, ha ritenuto che l'apprezzamento circa la sussistenza del requisito di specificità della contestazione disciplinare prescritto dalla legge debba essere fatto "al di fuori di schemi rigidi e prestabiliti".
Contestazione licenziamento quando è valida
In sostanza la contestazione, per essere valida, deve offrire al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per permettergli di individuare il fatto o i fatti che gli sono addebitati nella loro materialità, tenuto conto del loro contesto.
Essa, invece, è viziata laddove "la mancata precisazione di alcuni elementi di fatto abbia determinato un'insuperabile incertezza nell'individuazione dei comportamenti imputati", posto che in tal caso deve ritenersi concretamente pregiudicato il diritto di difesa del dipendente.
La vicenda
Nel caso di specie, il lavoratore era stato licenziato proprio per aver molestato alcune colleghe. Nella contestazione, il datore di lavoro non aveva indicato i nominativi di tutte le vittime e una simile circostanza era stata ritenuta dalla Corte di appello idonea a rendere la contestazione stessa troppo generica e, di conseguenza, a integrare un difetto procedurale tale da inficiare all'origine il procedimento disciplinare conclusosi con il recesso.
Per la Corte di cassazione, tuttavia, i criteri di valutazione della legittimità della contestazione adottati dal giudice del merito sono stati troppo rigidi, con la conseguenza che la questione dovrà ora essere rivalutata. In particolare, occorrerà verificare se effettivamente la mancata indicazione dei nominativi di tutte le colleghe molestate abbia determinato un'insuperabile incertezza circa i comportamenti contestati.
Corte di cassazione testo sentenza numero 6889/2018• Foto: 123rf.com