di Valeria Zeppilli - La Corte di cassazione, con la sentenza numero 7250/2018 qui sotto allegata, è tornata ad occuparsi degli effetti dell'incompletezza della cartella clinica, ricordando che le conseguenze della omessa tenuta o della lacunosa redazione di tale documento, per costante giurisprudenza, ricadono in capo al medico che, quindi, non può giovarsi delle annotazioni in essa contenute.
In diverse pronunce, infatti, la stessa Cassazione, a seconda dei casi, ha attribuito alle omissioni nella compilazione della cartella clinica il valore di nesso eziologico presunto o ha ravvisato in esse una figura sintomatica di inesatto adempimento (posto che il medico è onerato di controllare la completezza e l'esatezza delle cartelle e dei documenti che sono ad esse allegati).
Il ricorso a presunzioni
Per i giudici, quindi, l'incompletezza della cartella clinica non solo non consente di escludere che tra la condotta colposa dei medici e la patologia lamentata dal paziente sussista un nesso di causalità, ma permette il ricorso a presunzioni.
Si tratta, in sostanza, dell'effetto che si manifesta tipicamente nel quadro dei principi che regolano la distribuzione dell'onere probatorio ogniqualvolta non sia possibile dare la prova di un comportamento ascrivibile alla parte contro la quale avrebbe potuto essere invocato il fatto stesso da provare.
Effetti nel giudizio
In conclusione, quindi, per la Corte il giudice può utilizzare l'incompletezza della cartella clinica come una circostanza per ritenere dimostrata l'esistenza del nesso causale tra l'operato del medico e il danno lamentato dal paziente.
- Tuttavia, a tal fine sono necessari due presupposti:
- che il nesso di causalità non possa essere accertato proprio in ragione dell'incompletezza della cartella,
- che la condotta posta in essere dal medico sia astrattametne idonea a cagionare il danno.
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