di Lucia Izzo - Sono utilizzabili nei confronti del cliente le intercettazioni nelle quali il professionista (nel caso di specie un commercialista) dà suggerimenti sulla frode fiscale e su come evadere le imposte.
In materia di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271, comma secondo, c.p.p. non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all'attività professionale svolta dalle persone indicate nell'art. 200, comma primo, c.p.p., e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata.
La vicenda
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 14007/2018 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso del contribuente accusato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 d.lgs. n. 74/2000).
L'uomo era accusato di aver trasferito all'estero, sottraendosi al pagamento delle imposte con il fisco italiano, una serie di beni e proventi della sua attività rendendo in tale modo inefficace ogni forma di riscossione delle imposte evase.
La situazione era emersa da una serie di prove acquisite a suo carico, in particolare intercettazioni telefoniche realizzate sulla utenza in uso al suo commercialista, ideatore del sistema di frodi secondo la ipotesi accusatoria.
Professionisti: intercettazioni utilizzabili se non pertinenti all'attività
In Cassazione, l'imputato contesta la utilizzabilità ai fini delle indagini delle risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali operate a carico del suo commercialista e aventi a oggetto le conversazioni tra lui e il predetto professionista.
Gli Ermellini richiamano, in prima battuta, la normativa in materia di segreto professionale: sul punto, infatti, l'art. 271, comma 2, c.p.p., prevede espressamente, fra i divieti di utilizzazione, quello concernente le intercettazioni relative alle conversazioni o comunicazioni delle persone di cui all'art. 200, comma 1, c.p.p. (tra cui rientrano anche avvocati, consulenti tecnici e notai) quando esse hanno a oggetto fatti da loro conosciuti in ragione della loro professione.
Tuttavia, la Suprema Corte condivide le indicazioni interpretative della giurisprudenza ove ritiene che tale disposizione debba essere intesa nel senso che il divieto in questione sia "posto a tutela dei soggetti indicati nell'art. 200, comma primo, c.p.p. e dell'esercizio della loro funzione professionale, ancorché non formalizzato in un mandato fiduciario, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un libero professionista venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto dal quale non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale".
Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati dalla norma citata e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (cfr. Cass. n. 17979/2013).
Nel caso di specie, invece, le intercettazioni eseguite, lungi dal riguardare l'attività professionale svolta dal commercialista dell'indagato e riferita alla cura degli interessi patrimoniali di quest'ultimo, avevano a oggetto un'attività in sé illecita, tale evidentemente da esulare rispetto ai limiti dello svolgimento di una incarico professionale, il quale presuppone, ove non si voglia cadere nell'insanabile contraddizione logica di ritenere tutelato dall'ordinamento lo svolgimento di un'attività criminosa, la piena liceità della condotta tenuta. Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese processuali.
Cass., III pen, sent. n. 14007/2018- Raccolta di articoli e sentenze sulle intercettazioni
- Le intercettazioni: guida legale