di Lucia Izzo - Nel giudizio di risarcimento danni per inadempimento dell'incarico professionale, verificato con giudizio prognostico che il ricorso previdenziale della cliente sarebbe stato accolto, è corretta la condanna degli avvocati a rifondere all'assistita un importo parametrato a quello dell'indennità che le sarebbe spettata in caso di esito vittorioso del giudizio.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 7924/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sulla vicenda di una cliente che aveva convenuto due avvocati per sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguiti a causa dell'inadempimento dell'incarico professionale loro conferito.
Il giudizio nel suo interesse, diretto a conseguire dall'INPS la corresponsione dell'indennità di maternità, infatti, si era concluso con dichiarazione di estinzione a seguito della mancata notifica del ricorso.
Accogliendo le pretese attoree, i giudici di merito avevano condannato i legali al risarcimento del danno, in misura corrispondente all'indennità di maternità obbligatoria che sarebbe spettata alla signora, oltre interessi dall'agosto 1991, se l'originaria domanda fosse stata accolta.
In Cassazione, ricorre una dei due avvocati sottolineando come, nel caso in esame, difettassero sia l'elemento dell'inadempimento professionale, avendo lei scientemente omesso di notificare il ricorso introduttivo del giudizio previdenziale in attesa di conoscere i nominativi dei testi da indicare, che quello della "riconducibilità dell'evento dal quale era derivato il pregiudizio lamentato alla condotta colposa dell'avvocato".
Per altro verso, sottolinea la ricorrente, la pretesa previdenziale dell'assistita non era "supportata da elementi certi ed incontestabili" (poiché il diritto era già prescritto e l'azione giudiziaria era inammissibile per intervenuta decadenza) dunque non sarebbe stato dimostrato il nesso eziologico fra l'omessa notifica del ricorso e il mancato riconoscimento della pretesa previdenziale.
Avvocati inadempienti: sì al risarcimento alla cliente in misura pari all'originaria domanda
Per gli Ermellini le censure si rilevano nel complesso inammissibili poiché non evidenziano specifici errori di diritto, ma sollecitano un diverso apprezzamento di merito, in particolare quanto alla prescrizione della pretesa previdenziale.
Non emerge, infatti, che questa fosse stata dedotta in riferimento alle pretese oggetto del giudizio previdenziale, quindi in primo grado, bensì in riferimento all'oggetto del diverso e successivo giudizio risarcitorio proposto dalla cliente nei confronti dei legali.
Invece, appare corretto per la Cassazione l'operato del giudice di merito che, "una volta affermato, sulla base di un giudizio prognostico, che il ricorso previdenziale sarebbe stato accolto" ha poi parametrato il danno da risarcire all'utilità perduta dall'assistita, ossia all'importo dell'indennità di maternità che le sarebbe spettata all'esito vittorioso del giudizio, "senza possibilità di applicare una decurtazione dell'importo in ragione di valutazioni probabilistiche, la cui rilevanza era ormai esaurita nell'ambito della valutazione prognostica circa l'esito del giudizio".
Il ricorso viene dunque rigettato e la professionista condannata al pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1-bis del D.P.R. n. 115 del 2002.