di Valeria Zeppilli - Il medico interpellato da un paziente non può limitarsi a escludere che la sintomatologia da questi lamentata sia connessa con il proprio campo di specializzazione, ma, se ci sono dubbi circa la sua natura benevola, deve indirizzarlo presso il sanitario competente per gli opportuni accertamenti.
Con la sentenza numero 15178/2018 qui sotto allegata, infatti, la Corte di cassazione ha confermato la condanna di un neurologo che, di fronte alle perdite di coscienza della sua paziente, la aveva tranquillizzata, prescrivendole un esame neurologico che aveva dato esito confortante ed escludendo a priori che gli svenimenti potessero avere natura cardiologica, come invece era poi risultato a seguito del decesso della donna.
Il consulto non può limitarsi a un unico profilo
Già il giudice del merito, come riportato in sentenza, aveva correttamente affermato che il sanitario "non poteva limitare il proprio consulto ad un unico profilo, omettendo qualunque previsione e successiva indicazione di approfondimento, in ordine alla possibile, alternativa genesi cardiaca delle crisi di perdita di coscienza".
Le linee guida
In ossequio alle Linee guida dettate in materia, l'unico accertamento idoneo a escludere l'origine cardiaca delle sincopi di natura non determinata era l'elettrocardiogramma, che, invece, non fu mai eseguito dalla paziente, che si era completamente affidata al medico neurologo.
Per la Corte di cassazione, insomma, la diagnosi del professionista, che si era pronunciato esclusivamente per una genesi vagale delle sincopi, "determinò il successivo sviluppo degli eventi, con esito infausto per la donna".
La condanna, quindi, resta.
Corte di cassazione testo sentenza numero 15178/2018