di Paolo M. Storani - La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, 5 aprile 2018, n. 15214, Pres. Rocco Marco Blaiotta, Relatrice Eugenia Serrao, offre lo spunto alla Collega Francesca Trotta, specializzata in professioni legali presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli, di redigere il pregevole commento che segue.
Buona lettura!
FURTO DI NOTTE: SCATTA L'AGGRAVANTE? - Francesca TROTTA
La Corte di Cassazione si pronuncia in merito all'applicabilità della aggravante della minorata difesa al furto commesso in ora notturna.
Sembra non sopirsi il dibattito quanto alla effettiva possibilità di applicare la circostanza aggravante della c.d. minorata difesa prevista dall'articolo 61 n. 5 c.p. (l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) all'ipotesi di furto commesso in ora notturna.
1. Inquadramento
2. Elemento soggettivo
3. Un primo orientamento
4. La decisione aderisce al secondo orientamento
Inquadramento
Al fine di esaminare funditus la questione oggetto della recente sentenza n. 15214, Cassazione Penale, Sez. IV, 5 aprile 2018 (ud. 6 marzo 2018), è opportuno delineare i caratteri generali del reato in commento.
Tra i delitti contro il patrimonio il furto incarna la fattispecie di più antica configurazione e di più frequente verificazione. Tale fattispecie è prevista dall'articolo 624 c.p. collocato tra i delitti contro il patrimonio (titolo XIII). ll bene protetto dalla norma non è univocamente individuato, tant'è che le opinioni della dottrina sono raggruppabili essenzialmente attorno a due orientamenti di fondo. Il primo individua l'oggetto della tutela in una relazione di fatto con la cosa specificatamente indicata nel possesso o nella detenzione, il secondo invece lo individua in una situazione di diritto che a seconda di varie concezioni è riferito talora alla sola proprietà, talaltra ai diritti reali complessivamente considerati o ancora ai diritti reali di godimento.
La prima concezione sembra sicuramente la più fedele alla dizione letterale della norma, la quale, nel parlare di detenzione sembra riferirsi a quel potere di fatto sulla cosa che costituisce il requisito minimo dello stesso possesso giuridicamente tutelabile.
Secondo tale schema l'aggressione alla pacifica convivenza attuata attraverso il turbamento della relazione di fatto tra il soggetto e la cosa si concretizza ogni qualvolta la res venga sottratta a chi la detiene indipendentemente dall'esistenza di un titolo giuridico o dalla liceità in base alla quale esso è stato conseguito.
Quanto al soggetto attivo essendo il furto appartenente alla categoria dei cosiddetti reati comuni, può commettere il fatto qualunque soggetto rispetto al quale la cosa deve considerarsi da altri detenuta. Da come si evince dal dictum normativo l'articolo 624 c.p. prevede che il furto si realizza tramite la sottrazione della res a chi la detiene.
Per aversi sottrazione è necessaria quindi l'uscita del bene dalla signoria di fatto del precedente possessore occorrendo, in altri termini, il c.d. spossessamento.. Ne consegue, da quanto precisato finora, che non si avrà sottrazione finché la cosa resti nella sfera di vigilanza del detentore. Ai fini della configurazione del momento consumativo del furto è necessario che la res sottratta sia passata per pur breve tempo sotto il dominio esclusivo dell'agente sebbene non vi sia stato ancora di fatto uno spostamento dal luogo della sottrazione. Attraverso l'impossessamento il soggetto attivo sostituisce la propria all'altrui detenzione, acquisendo, in altri termini, la piena e autonoma disponibilità materiale della cosa.
Elemento soggettivo
Quanto all'elemento soggettivo, invece, il furto deve essere commesso con la volontarietà della sottrazione e del impossessamento unito alla consapevolezza dell'altruità della cosa. Il reo deve inoltre agire col fine di trarre profitto.
Secondo l'interpretazione dominante la formula usata dal legislatore rappresenta una ipotesi di dolo specifico poiché individua un elemento che sta al di fuori dal fatto costitutivo del reato, non essendo necessario il suo conseguimento per il perfezionamento della fattispecie delittuosa.
Un primo orientamento
Ciò premesso la giurisprudenza si è più volte interrogata circa la configurabilità dell'aggravante della minorata difesa nell'ipotesi in cui il furto venga commesso in ora notturna profittando quindi, verosimilmente, di una minore capacità di difesa.
Tale aggravante ricorre di per sé nell'ipotesi in cui il soggetto attivo del reato si avvale di situazioni favorevoli (siano esse riguardanti la persona, il tempo o il luogo) ed idonee a rendere agevole la commissione del reato ostacolandone appunto, come precisato, la difesa.
Secondo un primo orientamento la commissione di un furto in ora notturna integra di per sé gli estremi dell'aggravante della minorata difesa, «sia per la ridotta vigilanza pubblica che in quelle ore viene esercitata sulle pubbliche vie e per la minore possibilità della presenza di testimoni, sia per la mancanza della ordinaria vigilanza da parte del proprietario, elementi che comportano una minorazione delle difese del soggetto passivo».
Secondo un altro indirizzo, la circostanza che il furto sia avvenuto di notte può avere rilievo solo in presenza di ulteriori condizioni che abbiano effettivamente compromesso, annullando o diminuendo i poteri di difesa pubblica o privata, in quanto, «il fondamento dell'aggravante risiede nel maggior disvalore della condotta laddove l'agente approfitti, attraverso un meditato calcolo, delle possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l'azione verrà a svolgersi». Secondo tale tesi la valutazione circa la sussistenza dell'aggravante deve essere operata dal giudice, caso per caso ,«essendo necessario accertare in concreto, piuttosto che sulla base di una condizione astrattamente considerata, se le circostanze in cui si è verificato il fatto abbiano effettivamente favorito la commissione del reato».
La decisione aderisce al secondo orientamento
Con la sentenza in esame, n. 15214/2018, la Corte ha mostrato di aderire al secondo degli orientamenti esaminati mostrando di scegliere la soluzione più idonea a garantire una più sicura rispondenza della aggravante al principio di offensività, dal momento che «all'interprete delle norme penali spetta il compito di renderle applicabili ai soli fatti concretamente offensivi».
In tal senso la Corte ha altresì precisato che «solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentano, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata è idoneo ad assicurare la coerenza dell'applicazione della circostanza aggravante con il suo fondamento giustificativo, ossia con il maggior disvalore della condotta derivante dall'approfittamento delle possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l'azione verrà a svolgersi». In fine quanto alla natura della circostanza, la tesi attualmente prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza suole definirla oggettiva in quanto inerente alla effettiva modalità dell' azione, pur ammettendo che il verbo "profittare" presupponga che la contingenza favorevole possa essere conosciuta dal soggetto agente.
Avv. Trotta Francesca
Specializzata in Professioni Legali presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli