Il Parlamento e le leggi sul fine vita
di Raffaella Feola - La parola "biodiritto" rimanda a quel complesso di procedure, livelli normativi, risorse organizzative e istituzioni, in cui si sostanzia la risposta giuridica alle questioni bioetiche.

Biodiritto e bioetica, perciò, sono due facce della stessa medaglia che finiscono per interagire, infatti, entrambi i lemmi hanno in comune il prefisso "bio" che significa "vita", si può affermare quindi, che il fulcro di bioetica e biodiritto è la vita.

Il biodiritto è la disciplina che si occupa di tracciare in maniera critica le dimensioni giuridiche, relative alle scienze della vita e della cura della salute e dell'essere umano.

In questo senso si riprende una delle originarie definizioni di bioetica, Warren T. Reich definisce la stessa: "The systematic study of human conduct in the area of the life sciences and health care, insofar as this conduct is examined in the light of moral values and principles".

Se la prima definizione centralizza sulla sfera giuridica, la seconda sicuramente su quella morale, ma l'oggetto può dirsi lo stesso.

Appare doveroso ricostruire le origini e lo sviluppo della bioetica, per poter capire bene a cosa si riferisce il biodiritto.

Origini e sviluppo della bioetica

Il termine "bioethics" è stato utilizzato per la prima volta da Van Rensselaer Potter e Andre Hellegers nel 1970, anche se già negli anni '60, inizia a farsi strada il fenomeno alla base della nascita della bioetica: la coincidenza di un massiccio sviluppo scientifico e tecnologico in campo medico, con un altrettanto enorme mutamento di natura culturale e giuridica.

Nel 1967 - in America - il primo trapianto di cuore; si rendono adoperabili i primissimi macchinari per la dialisi; aumentano considerevolmente le unità di terapia intensiva, con l'utilizzo di attrezzature per la respirazione, la nutrizione e l'idratazione, con lo scopo di mantenere in vita individui con attività cerebrale compromessa.

Emblematica è l'apparizione in scena dell'ingegneria genetica, si precisano le diagnosi prenatali, si propaga l'uso dei metodi contraccettivi e delle tecniche mediche volte all'interruzione volontaria della gravidanza. Gli anni '60 propongono una medicina competente in interventi determinanti sulla vita e sulla morte.

Con metodo scientifico si riesce ad indagare sulle origini, e coerentemente si spostano i confini in termini qualitativi e quantitativi. Quanto assunto comporta l'esigenza di revisionare aspetti definitori che, fino allora erano ravvisabili in termini in prevalenza "naturali".

Affiora l'esigenza di individuare criteri etici e giuridici che orientino la scelta sui destinatari delle nuove cure, poiché l'impiego della tecnologia non può essere incontrollato, è doverosa la definizione sia sull'an che sul quomodo del suo impiego. In America - ad esempio - la Commissione che prese il nome di "Life or Death Committee", dal 1962 al 1967, si occupò di selezionare i pazienti che avrebbero potuto usufruire delle dialisi offerte dal Seattle artificial Kidney center. È imposta -inevitabilmente- una riflessione sul significato della vita e della morte, in particolar modo sui concetti di sacralità della vita, qualità della stessa, doveri e poteri del medico, volontà del paziente e sopra ogni cosa il riconoscimento della sua autodeterminazione.

La bioetica, però, è affiorata in modo decisivo perché il progresso scientifico, è stato spalleggiato da una crescita culturale e giuridica.

È negli Stati Uniti che si sviluppa il movimento dei civil rights, che mira al riconoscimento di nuovi diritti, in particolar modo per gli afro- americani e per le comunità minoritarie ma, a farsi strada è specialmente il femminismo, con la lotta per il riconoscimento della volontà della donna anche sul piano sessuale e riproduttivo.

I temi dell'eguaglianza e dell'antidiscriminazione diventano priorità della cultura, della politica e del diritto.

A questo punto, è imperativo l'accenno alla sentenza Brown v. Board Education; la Corte Suprema nel 1954, infatti, dichiarò incostituzionali le strutture segregate per bianchi e neri e ciò rappresentò la "scossa" che portò all'entrata in vigore del Civil Rights Act nel 1954 e del Voting Rights Act nel 1965.

La legge del 1964 proibì la segregazione nei luoghi pubblici e la discriminazione nelle assunzioni.

Siamo negli anni in cui il movimento per i diritti civili è in voga e tra i suoi componenti più rilevanti abbiamo i Black muslim da cui si separò Malcom X, e il movimento del Black power. Minoranze indiane, ispanici e omosessuali continuarono a lottare nonostante le condanne e gli omicidi di M.L. King e di Malcom X.

Il Voting Rights Act, invece, fu approvato a seguito di manifestazioni per rivendicare i diritti politici dei neri, infatti, esso aveva lo scopo di vietare le pratiche utilizzate dagli Stati del Sud per ostacolare l'esercizio del voto degli elettori di colore.

Assistiamo all'affermazione di movimenti che hanno come fine il riconoscimento - in capo ad un soggetto, a prescindere dalla diversità- del diritto di scelta sulla propria vita, ed anche sul proprio corpo e sulla propria salute.

La percezione di istituzioni come famiglia, scuola e Chiesa, muta e si vengono ad affermare le nuove dimensioni dei diritti dei pazienti, le tematiche in materia di libertà sessuale, di aborto e di sperimentazione clinica. La scienza medica mette a disposizione attrezzature e tecniche per permettere che alcuni eventi legati alla salute, alla vita e alla morte, rientrino nella disponibilità di un individuo, con l'inevitabile intrecciarsi delle problematiche relative ai processi vitali con la dimensione giuridica.

Pietra miliare della giurisprudenza statunitense, diviene la sentenza Roe v. Wade del 1973.

Alla Corte Suprema veniva chiesto se la Costituzione federale riconoscesse un diritto all'aborto, anche in assenza di problemi di salute della donna e del feto. La decisione si fondò su un'interpretazione del Quattordicesimo Emendamento, che portò al riconoscimento di un diritto alla libera scelta.

Il diritto all'aborto è riconosciuto in un'ottica di limitazione dell'ingerenza statale. Due sono i principi cardine:

· l'aborto è possibile per qualsiasi ragione, fino a quando il feto diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell'utero materno, anche con l'ausilio di un supporto artificiale;

· in caso di pericolo per la salute della donna, l'aborto è legale anche quando il feto è in grado di sopravvivere al di fuori dell'utero materno.

La natura di common law dell'ordinamento, spinge il diritto statunitense a soffermarsi sull'analisi e risoluzione di singoli casi, quindi, se la disciplina bioetica si sviluppa in trattati, il biodiritto si atteggia a case-books.

Situazione analoga, si verifica nei paesi di civil law, ma la diversità sta nel motivo; gli effetti della rivoluzione biomedica, ancora non sono avvertiti, poiché mutamento culturale e sviluppo tecnico scientifico faticano a prendere piede in Europa.

Tra medicina e diritto vi è differenza, poiché la prima tende a vedere nel secondo "un ossessivo e formalistico sistema di norme generali e astratte, incapaci di adattarsi alle molteplici e imprevedibili esigenze dei casi concreti" le quali, pure, impongono all'operatore sanitario "il rispetto di procedure spesso burocratiche e antiquate e in definitiva irrilevanti per gli interessi del paziente".

A questo punto della trattazione, può chiarirsi il profilo definitorio del biodiritto, che si contrassegna per la pretesa di un approccio interdisciplinare verso un singolare ed eccezionale oggetto.

Il biodiritto può essere qualificato come:

· studio dei principi giuridici che orientano la condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della salute;

· settore del diritto che si occupa dei problemi relativi la tutela della vita fisica e le implicazioni giuridiche delle scienze biomediche;

· diritto applicato ai problemi relativi le frontiere della vita;

· diritto relativo ai fenomeni della vita: generazione, sviluppo, salute, malattia e morte;

· diritto della ricerca e della prassi biomedica.

Al di là di queste questioni puramente definitorie, i processi coinvolti nella disciplina in esame sono: nascita, vita, salute, malattia e morte.

Fino a poco tempo fa la vita e la morte seguivano un corso naturale, senza che il soggetto o un terzo potesse incidervi in maniera sostanziale, ma lo straordinario sviluppo delle scienze mediche ha concesso che in precisate condizioni e in una certa misura, ritmi e cadenze possono essere dettate dall'uomo.

È possibile, quindi, sostenere -senza dubbio alcuno- che il paradigma biologico resta immutato, considerato che la realtà biologica in sé non cambia, a mutare è, infatti, il paradigma giuridico.

Fino a pochissimi anni fa, sarebbe stato impossibile combattere e ritardare la morte di un essere umano. L'evento morte -tralasciando che avviene con modalità e tempi talvolta differenti- giunge senza eccezione all'equipollente risultato. È doveroso mettere in risalto che, grazie agli sviluppi delle tecniche diagnostiche e di rianimazione, l' accezione culturale e giuridica di morte è, rispetto al passato, indubbiamente variata. Fisiologicamente la morte potrebbe essere considerata come non esistente, infatti, anche dopo la cessazione di tutte le funzioni, l'organismo "si dissolve e trasforma assimilandosi all'ambiente che lo riassorbe". Potrebbe finanche dirsi che la morte è un processo attraverso il quale, a seconda delle riserve energetiche di un corpo, le singole componenti dell'organismo perdono vitalità, portando alla disgregazione complessiva dell'organismo nella sua unità strutturale e funzionale.

Concettualmente, sul piano giuridico, la morte fino al '700, si riferiva all'esalazione dell'ultimo respiro, in seguito alla cessazione del battito cardiaco con conseguente arresto dell'attività cardiocircolatoria, infine con la cessazione irreversibile delle funzioni dell'encefalo.

L'ultimo criterio -in Italia sancito dall'art. 1, legge n. 578, 29 dicembre 1993 - trova la sua genesi dalla necessità di fissare un concetto di morte che fosse compatibile con l'espianto e la donazione degli organi.

Il dibattito sul fine vita -storicamente- ha anticipato quello sull'accertamento dell'inizio vita; e se la definizione di morte ad un certo punto è stata condivisa sia dal settore giuridico, sia da quello medico, l'accertamento dell'inizio della vita ha diviso assiduamente le componenti culturali coinvolte.

È deduttivo appurare che se permangono opinioni diverse, è perché variabili di stampo scientifico- tecnologico e ideologico- culturale si intrecciano influendo su una soluzione al quesito che assume caratteri di scelta discrezionale. Per il diritto non si pone alcun dubbio, la vita comincia nel momento in cui un individuo diviene persona, con l'automatico acquisto della capacità giuridica.

In Italia, nonostante i dubbi dovuti alla legge 40/2004 -sulla procreazione assistita- il codice civile indica che la "capacità giuridica si acquista al momento della nascita" e i "diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento nascita".

Privilegiando un'interpretazione sistematica, l'art. 1 della legge sulla procreazione assistita, nella parte in cui "assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito", va interpretato secondo quanto disposto dal codice civile, attribuendo diritti che però sono condizionati alla nascita.

Con sentenza 27/1975, la Corte Costituzionale ha confermato che l'embrione non può essere considerato giuridicamente persona. La necessità di tutelare la potenziale vita del feto - perché espressione della vita umana fin dai primissimi stadi biologico- evolutivi- ha rappresentato la base della sentenza della Corte Costituzionale n. 35 del 1997, in cui si decise per l'inammissibilità di una richiesta di referendum su alcune disposizioni della legge n. 194/1978, che avrebbe liberalizzato la pratica abortiva, contraddicendone il "contenuto costituzionalmente vincolato". Tuttavia, questo diritto non è assoluto, ma può diventare cedevole di fronte al diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della donna nell'interruzione volontaria della gravidanza. È proprio il diritto alla salute, ex art.32 della Costituzione italiana, che si atteggia a diritto fondamentale per l' "individuo", non per la "persona", proprio per questo è pacifico ritenere che titolare del diritto in questione è anche il concepito.

Tale affermazione potrebbe essere collegata a quanto disposto dalla legge 405/1975, che attribuisce ai consultori anche l'obiettivo di tutelare la "salute della donna e del prodotto del concepimento", anche se i diritti scollegati dall'evento nascita non trovano riconoscimento nel codice civile.

A conferma che il nascituro non può essere considerato del tutto privo di tutela, si può menzionare il primo articolo della legge 194/1978, il quale dispone che lo Stato, tutela la vita umana dall' "inizio", inizio che però nel momento non viene precisato.

La dottrina civilistica e costituzionalistica italiana ha ricostruito la figura del nascituro, identificandolo astrattamente come centro di interessi. Alcuni autori definiscono "persone" o "individui" anche esseri non ancora nati, però la formula utilizzata non va intesa nel senso di attribuire una completa titolarità di diritti.

Il conclusione bioetica e biodiritto trattano questioni riguardanti il tempo della nascita e quello della morte -insieme ad altre vicende umane che nel frattempo si susseguono.

I casi che sollevano problemi etici sono tra loro dissimili, ciò -quasi certamente- comporta che l'unico criterio unificante è quello della dignità della persona, la stessa che ai sensi dell'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (2012/C 326/02), è inviolabile e deve essere tutelata e rispettata.

Il Parlamento e le leggi sul fine vita

Nel diritto italiano, la salute è espressamente tutelata all'art.32 della Costituzione, sia in termini individuali che collettivi.

Perché prevalga la dimensione impositiva dell'interesse pubblico su quella permissiva riconducibile al diritto al rifiuto, è necessario un intervento legislativo.

Il comma 2 dell'art. 32 Cost., riconosce implicitamente un generale diritto di rifiutare ogni trattamento che non sia espressamente previsto dalla legge: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

L'individuo, quindi, è titolare di un diritto -costituzionalmente garantito- al rifiuto di ogni terapia, la cui obbligatorietà non è prevista da uno speciale atto legislativo, che, sempre e comunque, deve rispettare la persona umana.

L'articolo 5 del codice civile, vieta espressamente gli atti di disposizione del proprio corpo "quando cagionano una diminuzione permanente dell'integrità fisica", infatti, la Cassazione ha sostenuto con sentenza 21748 del 2007, che non può parlarsi di un "dovere di curarsi come principio di ordine pubblico".

Dopo il caso Charlie Gard, moltissimi politici si sono sentiti in dovere di dire la loro e, di fare qualcosa per colmare un vuoto legislativo.

Lo scorso 20 aprile, infatti, la Camera dei deputati ha approvato la c.d. "legge sul fine vita", la norma permette anticipatamente di esprimere quali trattamenti medici ricevere in caso di gravi malattie.

La proposta di legge è passata all'esame del Senato, ma il suo futuro appariva incerto, si temeva addirittura di giungere al termine della legislatura; però, il 14 dicembre 2017, è stata definitivamente approvata.

Le "Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l'accanimento terapeutico" consentono la possibilità di rinunciare ad alcune terapie mediche, tra cui la nutrizione e l'idratazione artificiale.

Questa interruzione può essere ottenuta anche attraverso le c.d. DAT: disposizioni anticipate di trattamento. In tale documento si può indicare a quali terapie rinunciare e a quali condizioni, nel momento in cui si è impossibilitati ad esprimere la propria opinione, inoltre, si può chiedere di essere sedato costantemente, in modo da morire a seguito di un coma indotto e senza sofferenze.

Nella sostanza il diritto all'interruzione delle terapie -compresa nutrizione e idratazione- era stato riconosciuto a pazienti come Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro a seguito di battaglie legali.


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