Il tribunale di Torino ha dato torto ai 6 rider Foodora, ritenendoli puri lavoratori autonomi. Analisi della sentenza e del quadro di legge

Dott. Pierluigi Abenante - Se è vero che i tempi cambiano e spesso velocemente, tuttavia, non si può dire lo stesso del nostro corpo legislativo il quale, non riuscendo a tenere lo stesso passo dei tempi che cambiano, rischia di zavorrare i diversi e tanti aspetti dell'economia e dalla società del Paese. Da qui, in un quadro normativo piuttosto fragile e lacunoso, sovente la giurisprudenza assume il ruolo di "legislatore surrogato" o, più pragmaticamente, un ruolo di catalizzatore giuridico di fenomeni ed aspetti che governano il vivere di tutti i giorni, come le Gig economy o il fenomeno del lavoro digitale.

Il caso Foodora

Ebbene, da pochi giorni sono state rese note le motivazioni della sentenza 778/2018 con cui il Tribunale di Torino, l'11 aprile scorso, ha deciso sul caso dei sei riders di Foodora, i quali, licenziati dall'azienda tedesca del Food-delivery, avevano intentato una causa contro la stessa Foodora, impugnando il licenziamento e chiedendo la riassunzione ed il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, oltre ad un risarcimento del danno pari a 20.000 € per violazione delle norme sulla privacy. Nel ricorso depositato dai legali dei sei fattorini, le prestazioni di lavoro venivano descritte come rapporto di lavoro dipendente per via della richiesta reperibilità oltre all'obbligo di seguire le indicazioni del committente. Inoltre, si sottolineava come il sistema di geolocalizzazione in possesso dei riders fosse strumento utile oltre al monitoraggio anche al controllo e ad valutazioni costanti.

Riders lavoratori autonomi

Di tutt'altro avviso il Giudice del lavoro, il quale accogliendo le tesi della multinazionale tedesca chiarisce come il rapporto di lavoro in essere tra Foodora ed i suoi riders consentiva di scegliere se, quando e quanto lavorare, senza garantire un'attività minima né un obbligo di eseguire la prestazione ai lavoratori. "È pacifico - si legge nel dispositivo - che i ricorrenti potevano dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non erano obbligati a farlo; a sua volta Foodora poteva accettare la disponibilità data dai ricorrenti e inserirli nei turni da loro richiesti, ma poteva anche non farlo". Tale peculiarità "può essere considerata di per sé - scrive il giudice - determinante ai fini di escludere la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro". Ed ancora. Il Tribunale, con precisa argomentazione giuridica, rileva come nel rapporto di lavoro siano del tutto assenti gli elementi caratterizzanti la fattispecie del rapporto di subordinazione, vale a dire: l'assoggettamento al potere direttivo, la continuità nel rapporto di lavoro, l'assenza di sottoposizione al potere disciplinare (il rifiuto della prestazione da parte del fattorino non comporta alcuna sanzione) .Con riferimento al profilo della geolocalizzazione e del monitoraggio: il magistrato chiarisce che i le "app e le e-mail" sono state usate per la determinazione del luogo di lavoro e la verifica della presenza dei riders nei punti di partenza. Non per "il costante monitoraggio della prestazione". Riguardo la domanda di risarcimento del danno per violazione delle norme sulla privacy per l'utilizzo del sistema di tracciamento e geolocalizzazione, il Tribunale ha accertato l'adeguatezza dell'informativa ricevuta (e del consenso espresso) dai riders sul trattamento dei loro dati personali.

Le lacune normative

In ultimo, occorre rilevare come la sentenza di cui in oggetto mette a nudo tutta la fragilità del tessuto normativo italiano in questa materia.Ed invero, paradossalmente, l'attuale art. 2 del Jobs Act restringe l'ambito di applicazione della subordinazione, escludendo alcune tipicità delle forme di collaborazione. La disciplina del lavoro subordinato si applica "qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro". Nel caso di Foodora, i riders non potevano avanzare questa rivendicazione perché "avevano la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro"


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